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Elisa Claps e il sottotetto della chiesa della Trinità a Potenza

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CI sono pagine scure nella storia di ogni città. Nella storia di Potenza quella pagina ha un nome preciso ed è quello di Elisa. Aveva solo 16 anni e mai avrebbe pensato che il suo nome sarebbe stato associato a uno dei momenti più dolorosi della città. Sono passati 11 anni dal momento in cui quella ferita mai chiusa ha ricominciato a sanguinare e ieri, con un comunicato che definire inopportuno è un eufemismo, la curia di Potenza è riuscita a frantumare i tanti piccoli tentativi di ricucire il tessuto della città, le sue diverse anime.

Non è una questione di merito, su quello ognuno può pensarla diversamente. Ma di metodo e di umanità. Perché per la famiglia Claps il 17 marzo non è una data come un’altra. E’ quella in cui hanno ritrovato quel piccolo corpo rannicchiato. E’ il giorno in cui hanno potuto piangere su quello che di Elisa era rimasto. E parlare di «speranza per la Chiesa diocesana e per la città», sembra davvero una beffa.

Quel 17 marzo del 2010 non è stato un giorno bello per nessuno di questa città. Di quale speranza, facendo coincidere quell’anniversario con questo annuncio, si parla? La riapertura al culto della Trinità non avverrà tra due mesi, ma fra due anni: era necessario infliggere alla famiglia Claps questo dolore proprio oggi? E liquidare l’intera vicenda in quattro righe, come se in fondo non fosse successo nulla, denota disumanità oltre che incapacità comunicativa.

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