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Volontari della Caritas al lavoro

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POTENZA – Solo la neve l’ha fermata per un giorno. Ma da mesi ormai, Marina Buoncristiano è «come in una lavatrice, siamo inondati, travolti».
Buoncristiano è la voce della Caritas diocesana di Potenza e, con la figlia Giorgia Russo, tiene in piedi una rete di persone che dedica il suo tempo all’aiuto degli altri. Volti e mani che nell’ultimo anno hanno lavorato incessantemente per frenare l’emergenza, per sostenere e aiutare chi, in pochi mesi, ha perso molto, forse tutto. Persone che «mai avrei pensato di ritrovare sul nostro uscio», persone che «un tempo erano quelli che aiutavano e sostenevano la Caritas come potevano». Ma oggi stanno dall’altra parte, sono quelli che hanno bisogno di aiuto.

Quando gli storici andranno a studiare questi anni dovranno dividere il mondo in un prima e un dopo. Prima del Covid e dopo. E non è che il prima fosse già così florido, specie qui in Basilicata, dove «c’è una povertà endemica. Noi partivamo – dice Buoncristiano – già da -1. Ora siamo a meno dieci e ci vorranno anni solo per tornare al livello di partenza». Che, appunto, era già – 1, quindi non proprio eccellente.

E’ passato un anno ormai da quando tutto è iniziato. «E’ come se ci fosse uno spartiacque – dice Buoncristiano – tra il prima e il dopo. Prima c’era comunque un’emergenza alimentare, persone in difficoltà. Ora sono cambiati i volti della povertà. E paradossalmente chi viveva dignitosamente del suo lavoro ora sta peggio di chi già usufruiva di misure di sostegno al reddito. Il Reddito di cittadinanza, per esempio, che per come era stato concepito era sbagliato, dobbiamo ora ammettere che è stato un paracadute per tantissime famiglie che, in questo modo, hanno potuto contare su un reddito fisso e sicuro. Stessa cosa si può dire per tutte le misure introdotte dalla Regione Basilicata. Ma chi questi sostegni non li aveva e viveva con la cassa giornaliera della propria attività, si è trovato senza nulla da un momento all’altro. Quindi, paradossalmente, chi lavorava si è visto stravolgere l’esistenza, mentre la fascia di popolazione che già era in povertà era garantita».

Sono quelli che avevano piccole imprese artigianali a essere in gravissima difficoltà. Ci sono bar inattivi da mesi ma i canoni di affitto vanno pagati, «qualcuno ha ridotto gli importi, ma pochi davvero. E noi ci siamo trovati così a pagare bollette, la Tari, i canoni di locazione. Non c’è solo il pacco alimentare, le emergenze sono diverse. Perché non pagare il fitto significa perdere il locale e non riaprire mai più, come purtroppo accadrà in molti casi».

Il barista, il commesso, chi aveva un contratto a chiamata, gli stagionali. E anche quelli che continuano a lavorare ma in cig, che abbatte notevolmente le entrate.
«C’è una sacca di povertà – sospira Buoncristiano – che è preoccupante. Noi siamo stati inondati dalle richieste di aiuto. E mai ci saremmo aspettati di vedere alcuni. Noi abbiamo provato a resistere, per fortuna c’è una città solidale, ci sono privati cittadini che sempre ci aiutano. E Potenza, dobbiamo dirlo, è una città che aiuta. Una enome mano ce l’ha data la Cei, che ha destinato a questa emergenza un fondo straordinario dell’8×1000. Alla nostra diocesi è stato destinato ad aprile un fondo di 250.000 euro da destinare esclusivamente a queste fasce di povertà. Soldi a fondo perduto. Abbiamo già speso 246.000 euro per pagare bollette o canoni di locazione. E questo ovviamente va ad aggiungersi a quanto già fanno tutte le diocesi».

Uno sforzo immenso quello messo in campo, per cercare di contenere i danni, per cercare di far tirare un momentaneo sospiro di sollievo. Ma l’incertezza che accompagna ogni nostra giornata segna inevitabilmente anche il futuro.
«Io voglio pensare positivo – continua Buoncristiano, pesando ogni parola – ma tanti esercizi commerciali hanno già chiuso. E siamo ancora in piena emergenza, non possiamo dire di esserne usciti. Quello che credo è che questo è il momento di pensare qualcosa di nuovo. Continuare con le vecchie logiche che finora sono state utilizzate non porterà nulla di buono. Ci vuole una visione a lungo temine e ci vorranno anni prima di poter tornare a una parvenza di normalità. E bisognerà trovare un modo per aiutare una popolazione sempre più in età geriatrica, come dovranno essere aiutati i ragazzi».

Perché la povertà non ha un volto solo, la povertà sono anche le profonde disuguaglianze che questo modo di vivere la scuola finiranno per peggiorare.
«Ci vorrà tempo e visione ma in questa crisi noi dovremmo essere in grado anche di vedere l’opportunità di investire su un nuovo concetto di comunità, che davvero sia capace di abbattere tutte le disuguaglianze che, da noi, sono davvero molto marcate. Non possiamo più pensare di risolvere questa situazione con strumenti vecchi: dovremo, per esempio, investire sulla sburocratizzazione, dovremo considerare anche come sia cambiato il volto della povertà. Prima avevamo il problema dell’occupabilità perché c’erano persone che non potevi formare, che non avevano qualifiche. Ma ora la situazione è ben diversa».

C’è un prima e un dopo. Prima dell’emergenza l’esistenza si declinava in un modo, dopo dovrà essere tutto diverso se vorremo tornare a una parvenza di normalità. Lo spartiacque sarà quest’ultimo anno vissuto senza respiro, con la paura sempre dietro l’angolo. Saremo in grado di trasformare la paura in forza, le solitudini in comunità, le incertezze in certezze? Non sarà facile, ci vorranno anni, «ma io voglio pensare positivo».

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