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MATERA città del cinema è stata anche la città di Francesco Rosi. Ed oggi che il Maestro del cinema ci lascia non può far altro che ricordarlo e menzionarlo. Rosi è morto ieri a Roma all’età di 92 anni. Matera è diventata ufficialmente la sua città il 21 settembre 2013 quando gli è stata assegnata la cittadinanza onoraria di Matera ma lo è stata ben prima, sin da quando girò qui, nei Sassi allora non ancora patrimonio dell’umanità , tre film «C’era una volta» del 1967 ed i pluripremiati “Cristo si è fermato a Eboli» del 1979 e «I tre fratelli» del 1981.
A Matera poco più di un anno fa Rosi mostrò la voglia, l’emozione, l’intenzione di rivedere e rivivere quei Sassi che gli scatenavano grandi sensazioni ma che nel 2013 erano certamente molto diversi rispetto a quelli che ricordava e che ne avevano caratterizzato il lavoro molti anni prima quando i Sassi erano considerati nell’immaginario collettivo “una vergogna nazionale” quando di una legge apposita non si sentiva ancora parlava e tantomeno si pensava che potevano diventare patrimonio dell’umanità e futura capitale italiana della cultura. Rosi in qualche modo ne aveva visto prima degli altri le potenzialità: «il legame con Matera è forte, ho dovuto rivedere i Sassi per ritrovarmi” sono state alcune delle parole, delle sensazioni che al momento del conferimento della cittadinanza onoraria ha rivissuto.
E che proprio allora ne hanno fatto un materano, un lucano a tutti gli effetti, un materano illustre che ha raccontato uno spaccato di ciò che nel tempo Matera è stata e che l’ha portata ad arrivare fino ad oggi a diventare capitale della cultura. Si comprende così il motivo per il quale il sindaco Adduce nel ricordarlo abbia anche deciso di dedicargli il risultato ottenuto e di non far mancare la presenza istituzionale di quella che era diventata una sua città a Roma nel corso dei funerali che si terranno domani con il gonfalone della città a rappresentare la vicinanza di tutti i materani nel momento dell’ultimo saluto al regista.
Rosi era nato a Napoli il 15 novembre del 1922, una manciata di mesi dopo Carlo Lizzani, appena più vecchio di Franco Zeffirelli che divise con lui gli esordi sul set di Visconti, poco dopo che Lizzani imparava invece l’alfabeto del cinema da Rossellini.
Al «discepolo» Tornatore che ancora nel bellissimo libro a quattro mani Io lo chiamo Cinematografo (Mondadori 2012) lo incitava a tornare sul set non rispondeva «sono stanco» ma «il mestiere del regista richiede grande energia fisica e non so se l’avrei più. So invece che in quest’Italia è difficile fare cinema e che la realtà si degrada così in fretta che il suo passo è troppo più frettoloso di quello del cinema. Rischierei di raccontare un paese che già non c’è più».
Nel 2012 Francesco Rosi era sul palcoscenico della Mostra di Venezia per ricevere il Leone d’oro alla carriera. Un premio in più in una carriera che già gli aveva regalato il Leone d’oro per Le mani sulla città, la Palma di Cannes per Il caso Mattei, la Legion d’onore, i tributi alla carriera di Locarno e Berlino, per non parlare di Grolle, David, Nastri, caduti a pioggia su ogni titolo della sua formidabile filmografia. Difficile negare che in film come Le mani sulla città, Salvatore Giuliano, Il caso Mattei, Uomini contro, Lucky Luciano, fino ai profetici Cadaveri eccellenti e Dimenticare Palermo, l’aspirazione etica sia andata di pari passo con un’arte cristallina.
«Ho perso molti amici, tutti gli amici uno dopo l’altro e sono abituato a questi momenti tristi, perchè il più vecchio sono io, ma questa volta non può immaginare con che stato d’animo accolgo questa notizia, perchè Francesco Rosi non era un amico, era mio fratello». Così Franco Zeffirelli, con un filo di voce, commenta con l’ANSA la notizia della morte del regista con cui aveva lavorato proprio ai suoi esordi. Furono uno al fianco dell’altro come assistenti alla regia di Luchino Visconti sia in La terra trema che in Senso.
«Con Francesco avevamo iniziato insieme – dice ancora Franco Zeffirelli – avevamo fatto insieme i primi passi timidi nel mondo del cinema. Passi da una parte timidi, perchè erano i primi, dall’altra sicuri perchè era Visconti a guidarci e lui non sbagliava», aggiunge ancora il regista.
«Io non ho paura di andarmene – dice Franco Zeffirelli – ma mi dispiace di lasciare tante cose belle della vita, come quelle che ho vissuto con mio fratello Francesco. Vorrei poter ereditare tutte le sue virtù ma è difficile perchè le sue erano moltissime».

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