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POTENZA – «Non abbiamo i soldi per comprare i libri ai nostri figli. E alcuni colleghi, padri di famiglia nelle nostre stesse condizioni, non riescono a fare benzina per venire qui a protestare con noi». Storie dal Palazzo assediato. «Qui» è il gazebo che “quelli dell’ex mobilità” occupano da poco più di un anno davanti all’ingresso della Regione – il 3, per “festeggiare”, c’è stato anche il vescovo.

Età media cinquant’anni, anni di contributi circa trenta. Tecnicamente si chiamano “lavoratori fuoriusciti dalla platea dei beneficiari della mobilità in deroga”, espressione in burocratese doc e davvero fuori contesto perché “lavoratori” non lo sono più, anche se vogliono tanto tornare a esserlo, per una questione di dignità oltre che di previdenza: stazionano in quel limbo terribile del “troppo giovani per andare in pensione e troppo vecchi per rientrare nel mercato del lavoro”.

“Fuoriusciti” è una parola – e una condizione – più brutta di “esodati” e insomma forse l’unica etichetta che non stona con il gazebo è proprio “platea”: il problema è che chi potrebbe e dovrebbe porre fine al triste spettacolo allestito nella Lucania Felix delle royalty e del sogno materano, e passa tutte le mattine da qui, è completamente disinteressato.

The show must go on, però. In dodici mesi l’emergenza è diventata routine e non scandalizza né incuriosisce né indigna più. Gli stessi “fuoriusciti” sembrano ingabbiati in una quotidianità in cui, paradossalmente, manca solo che timbrino un cartellino. «I consiglieri Petrantuono e Galante avevano proposto per noi un utilizzo nell’agroforestazione: per noi sarebbe l’ideale, oltre a essere utile se solo si pensa ai benefici che il territorio potrebbe avere in fatto di cura del verde e pulizia degli alvei dei fiumi. La proposta è stata approvata in commissione ma è finita lì, stiamo ancora aspettando».

Perché dite di voler lavorare ma siete contro il reddito minimo? «Perché perderemmo la contribuzione accumulata fino ad ora e andremmo in pensione con una cifra ridicola. Uno stipendio tra 400 e 450 euro non ci basta. Il reddito minimo ci impoverisce. Per come è concepito, non sarebbe un lavoro ma uno sfruttamento, sarebbe come lavorare gratis, solo con la copertura assicurativa. I contributi ce li dovrebbero pagare anche il Comune e le cooperative, non solo la Regione». Il governo in questi giorni torna a parlare di Reddito d’inclusione attiva (Ria). «E’ la stessa cosa…».

Lo striscione “Lavoro” che fa da sfondo a chi fa colazione al bar s’è quasi sbiadito. L’ultimo, quello che hanno esposto davanti al presidio, ben visibile anche da chi passa in auto, dice forte e chiaro: “Il reddito minimo non è la nostra soluzione”. Eppure, nella disperazione crescente, in molti tra quelli della quarantina che si alterna nel gazebo hanno comunque fatto domanda. «Non potevamo non farla», dicono stringendosi nelle spalle e abbassando lo sguardo.

In questo continuo scivolamento verso il basso – la “platea” dei disperati, appunto, diventa sempre più ampia – i dimenticati e gli ultimi vivono la maledizione di avere accanto degli ultimi “più ultimi” e più dimenticati di loro. È la famosa guerra tra poveri. In questi giorni ci sono i fischietti delle mamme dei bimbi disabili che fanno rumore e bloccano il traffico a via Verrastro (nelle pagine di cronaca potentina trovate l’aggiornamento della vicenda). I “fuoriusciti” assistono dalla loro platea e allargano le braccia come a dire che al peggio non c’è mai fine.

Domani saranno passate due settimane dalla doppia lettera (oggetto: “Richiesta incontro urgente”, ma sul concetto di urgenza si sa che istituzioni e politica hanno un’idea tutta loro) che Cgil, Cisl e Uil hanno inviato all’assessore al Lavoro Raffaele Liberali (e “per conoscenza” come usa fare – hai visto mai – al direttore generale Giandomenico Marchese) e al dg della giunta regionale, Vito Marsico: nella prima i sindacati chiedono un incontro in assessorato per «la definizione del percorso intrapreso» sull’«utilizzo della quota del 5% delle risorse assegnate alla Regione Basilicata da utilizzare sull’anno di riferimento 2014, in virtù degli impegni assunti nel corso delle riunioni precedenti circa la possibilità di imputare tali risorse (circa due Meuro) in capo ai lavoratori fuoriusciti» eccetera eccetera; nella seconda lettera incalzano il dg Marsico chiedendogli che fine abbia fatto quell’«avvio di un nuovo percorso formativo al quale avviare gli ex beneficiari» eccetera eccetera – altri «impegni assunti» ed evidentemente non onorati. Tradotto: noi ci siamo, e voi?

Sempre a proposito del concetto di urgenza: giacciono – e il termine funebre non è utilizzato a caso – sui tavoli della Regione carte da firmare dopo un copia-incolla, documenti che sbloccherebbero qualcosa ma “appesi” da prima delle ferie estive e ancora lì a prendere polvere. Le due lettere dei sindacati datate 11 settembre sono solo l’ultimo tassello.

Per chi passa i giorni ad aspettare un segnale o a contattare gli uffici regionali digitando numeri di interni imparati a memoria, tenere la contabilità delle scadenze diventa un’ossessione più che una priorità. «Il vero problema è che non c’è nessun interesse a risolvere il nostro caso. Per il 3 avevamo invitato tutti i politici ma sono venuti solo il consigliere regionale Galante e l’assessore comunale Salvia». Il problema forse è che, se pure gli “invitati” fossero arrivati in massa, non c’era davvero nulla da festeggiare. Nel frattempo, le “platee” si allargano e lo spettacolo della disperazione deve andare avanti.

e.furia@luedi.it

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