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Il Centro Olio Val d'Agri a Viggiano (PZ)

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Le accuse nel testamento dell’ex responsabile dell’impianto del Potentino: «Nel 2013 si decise di costruire i doppi fondi per tenere celato il tutto»

POTENZA – Dopo le perdite scoperte tra ottobre del 2012 e marzo 2013 da due dei serbatoi del Centro olio di Viggiano, Eni avrebbe deciso di iniziare a costruire “spontaneamente” i doppi fondi sotto i serbatoi di greggio del Centro olio di Viggiano, sebbene le autorizzazioni non lo imponessero, con l’obiettivo di «tenere celato il tutto». Quindi avrebbe spacciato gli interventi di «bonifica» effettuati clandestinamente come «normali lavori», per cui non era necessario rallentare le estrazioni. Senza preoccuparsi né di «indagare sotto», né di verificare la situazione dei due restanti serbatoi, che «esternamente» non mostravano problemi: «ma dentro?»

E’ l’inquietante interrogativo affidato ai carabinieri di Viggiano e all’ufficio di polizia mineraria (Unmig) del Ministero dello sviluppo economico nella lettera – testamento dall’ingegnere 38enne Gianluca Griffa, ex responsabile di stabilimento del Centro olio, suicidatosi a luglio del 2013 dopo un duro scontro con i suoi capi sulla gestione dell’impianto.

Nel documento, acquisito nelle scorse settimane dai pm di Potenza che indagano sulle attività di Eni in Val d’Agri, e da poco ipotizzano un vero e proprio disastro ambientale a carico della compagnia, Griffa spiega di essere stato tenuto all’oscuro delle perdite dai suoi superiori, ma di essere riuscito comunque a leggere il rapporto sul primo incidente, e di aver parlato con uno degli ispettori inviati da Milano per il secondo. L’ingegnere aggiunge di essersi informato, per le vie brevi, anche sui risultati delle analisi effettuate dopo i due incidenti, assieme all’Agenzia regionale dell’ambiente (Arpab) nei pozzetti attorno all’impianto, che all’epoca, però, non avrebbero segnalato nulla di allarmante. Per questo la compagnia avrebbe potuto agire praticamente indisturbata fino a gennaio di quest’anno, quando il greggio disperso sotto l’impianto avrebbe superato le 400 tonnellate, e soltanto per un puro caso è stato scoperto nel sistema di collettazione del Consorzio industriale. Poi è scattato l’allarme, ed è intervenuta la Regione imponendo delle misure per contenere la contaminazione prima che si avviasse verso l’invaso del Pertusillo, 3 chilometri più a valle.

Griffa, che si è tolto la vita dopo essere stato sostituito e richiamato nella sede centrale di Eni a Milano con la prospettiva di una «missione all’estero» proprio per aver sollecitato verifiche sulla situazione dei serbatoi, colloca la prima perdita «verso ottobre» del 2012 e la descrive come una «leggera fuoriuscita» di greggio, provocata da «2-3 buchini nell’area esterna», che è stata subito «drenata e bonificata». A «fine marzo» del 2013, invece, si sarebbe verificato il secondo episodio, «peggiore», con «7-8 buchini sempre verso l’esterno, più 1 di grandezza superiore (4-5 centimetri)».

E’ a questo punto che i dirigenti locali della compagnia, «sempre per ordini superiori», avrebbero deciso «tappare il tutto» senza approfondire né la quantità né il livello di penetrazione nel terreno del greggio disperso.

«A riprova del fatto che a più alti livelli in sede si fosse a conoscenza della problematica» l’ingegnere 38enne di Montà d’Alba, in provincia di Cuneo, cita l’autorizzazione della spesa straordinaria, «sicuramente non cifre irrisorie», per gli interventi di manutenzione effettuati dopo gli incidenti, oltre alla decisione di installare i doppi fondi e le commesse affidate a «ditte specializzate».

Quanto alle cause per cui si sarebbe verificata l’accelerazione dei normali processi di corrosione all’interno dei serbatoi riferisce che tecnici della compagnia gli avrebbero parlato di un «attacco batterico», ma non esclude nemmeno un collegamento con l’avvio delle estrazioni da due pozzi particolarmente ricchi di sostanze come acido solfidrico e anidride carbonica, e con le «perdite di processo» di una sostanza, il glicole, utilizzata per la raffinazione del gas estratto assieme al petrolio, che rientra in circolo non si riesce a drenare «a causa dei bassi tempi di ritenzione».

«Problema analogo parrebbe esserci in raffineria a Taranto proprio sui serbatoi che ricevono l’oleo di Viggiano via oleodotto». Scrive ancora. «Le analisi di laboratorio campionate al fondo pare mostrassero molta presenza batterica, molto più che al Centro olio».

 

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