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La conferenza stampa ieri in Procura a Potenza

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Nell’affondo del magistrato a capo della Dda lucana il riferimento ad antiche «tensioni» con la Procura materana

POTENZA – Nel Metapontino, e in Basilicata, la mafia c’è, forse persino più d’una, e non si tratta di un prodotto d’importazione, ma di una piaga che nel tempo si è allargata al tessuto sociale ed economico, sfruttando l’omertà delle vittime, e un periodo di assenza dello Stato, per imporre con la violenza e le intimidazioni il suo dominio.
E’ la risposta ad anni di attentati incendiari, agguati sanguinari e fortune inspiegabili quella scattata ieri mattina con il blitz di Carabinieri, Polizia e Guardia di finanza contro i boss della Statale 106.
Lo ha spiegato, senza nascondere la soddisfazione, il procuratore distrettuale antimafia Francesco Curcio, dopo l’arresto di 25 persone (in totale gli indagati sono 56) per accuse che vanno dall’associazione a delinquere di stampo mafioso al narcotraffico, passando per l’incendio, i danneggiamenti e un tentato omicidio.
Nel mirino sono finiti 3 clan di base in altrettanti centri del litorale: gli Schettino di Scanzano Jonico, i Russo di Tursi e i Donadio di Montalbano.
Il gip Lucio Setola ha riconosciuto la “mafiosità” soltanto per il primo, nonostante i pm Laura Triassi e Annagloria Piccininni avessero esteso la contestazione anche al secondo. Mentre per il gruppo di Montalbano si parla di un’associazione finalizzata esclusivamente al traffico di droga.
A capo della nuova mafia lucana gli inquirenti hanno individuato Gerardo Schettino, l’ex carabiniere 53enne originario di Viggianello, finito agli arresti per la prima volta nel 2004 e da quel momento diventato figura di spicco della criminalità della fascia jonica, grazie anche ai solidi legami con la ‘ndrina degli zingari di Corigliano.
Gli investigatori, che monitoravano la situazione dal 2001, hanno fotografato la rottura che si sarebbe consumata, attorno al 2012, tra il suo gruppo e quello guidato da Rocco Russo, che fino ad allora avrebbero gestito assieme soprattutto il traffico di droga (perlopiù eroina e hashish).
Ne è seguita una lunga scia di attentati ai danni di imprese della zona, soprattutto del settore ortofrutticolo, a cui Russo avrebbe cercato di imporre i servizi della sua azienda di trasporto. Ma lo scontro vero e proprio ha raggiunto il suo apice nell’estate del 2013, col tentato omicidio di Russo da parte di Schettino e del suo braccio destro, Domenico Porcelli.
La violenza e i pestaggi sarebbero stati all’ordine del giorno per convincere qualcuno a pagare o soltanto per difendere il territorio dagli appetiti dei rivali, locali e non.
Curcio ha spiegato che durante le indagini è stata sequestrata anche una trascrizione della formula di affiliazione con cui Porcelli avrebbe continuato a reclutare manovalanza dal carcere. Come pure la corrispondenza con cui dava indicazioni per la «repressione violenta dei dissidi interni» e l’«assistenza agli affiliati in difficoltà o detenuti».
Inoltre sono stati ricostruiti diversi episodi di estorsione ai danni di locali notturni del litorale, a cui il clan Schettino avrebbe imposto i servizi di guardiania di una ditta amica. Mentre è ancora da recuperare l’arsenale di armi comuni e da guerra di cui i 3 gruppi sarebbero stati in possesso.
Quanto al patrimonio accumulato sono state individuate anche alcune attività, come il night club Pepita di Marconia di Pisticci, che sarebbero servite per riciclare, grazie a dei prestanome, gli introiti illegali.
«Questa – ha evidenziato in conferenza stampa il Procuratore distrettuale antimafia di Potenza – è una buona giornata per lo Stato che, in una terra non più isola felice, ha dato quelle risposteche in precedenza non era riuscito a fornire ai cittadini».
Il riferimento è alle «tensioni» di alcuni anni fa tra la Dda potentina e la Procura materana, evidenziate anche in alcune relazioni annuali della Direzione nazionale antimafia: «Adesso però, finalmente – ha aggiunto il magistrato a capo della Dda lucana da alcuni mesi – la collaborazione è delle migliori: questo è solo un punto di partenza». Dunque soltanto una «parziale giustificazione» del clima di omertà e dei silenzi delle vittime, che per Curcio, stando ai fatti più recenti venuti alla luce, si sarebbero potute prestare anche all’infiltrazione in redditizi appalti pubblici.
 

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