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POTENZA – L’avvocato De Bonis non sarebbe stato un legale come tutti gli altri, capaci di farsi valere soltanto con la forza delle argomentazioni, ma una vera e propria «potenza» quando si trattava di difendere gli interessi dei suoi assistiti al Tar. Una «potenza» evidentemente in grado di influire sulle determinazioni dei magistrati chiamati a giudicare.
Sarebbe partita da qui, da questo sospetto raccolto in un esposto anonimo l’inchiesta che ha portato all’arresto dell’anziano legale potentino.
E’ quanto emerge dagli atti allo studio dei difensori dei tre destinatari dell’ordinanza di misure cautelari eseguita giovedì scorso: oltre a De Bonis, il finanziere Paolo D’Apolito, e di Biagio Di Lascio, storico segretario dell’ex governatore Marcello Pittella.

Nelle prossime ore dovrebbero essere formalizzati i ricorsi al Tribunale del riesame per chiedere l’annullamento degli arresti domiciliari disposti nei loro confronti. Quindi è previsto che dalla Procura venga messa a disposizione delle parti una fetta ancora più importante del materiale raccolto in quasi un anno di intercettazioni telefoniche e ambientali (oltre a verbali d’interrogatorio e documentazione varia).

Nel frattempo, però, se resta ancora un mistero l’epilogo che avranno i vari filoni d’indagine scaturiti dalle verifiche sul conto del più noto civilista del capoluogo comincia a definirsi l’origine delle stesse. Con quella frase, «De Bonis è una potenza al Tar», che spicca tra le migliaia di pagine compulsate dai difensori a caccia di crepe nel lavoro degli inquirenti. Quattro faldoni di carte, tra cui non mancano anche alcune pronunce dei giudici amministrativi lucani, evidentemente già vagliate sia dal pm Maria Cristina Gargiulo che dal gip che ha concesso la misura cautelare, Antonello Amodeo.

Se i sospetti sulla capacità dell’anziano legale di condizionare l’esito dei ricchi contenziosi in cui era impegnato davanti al Tar Basilicata siano stati solo uno spunto di partenza, si capirà con ogni probabilità nel giro di qualche settimana. Che ci siano clamorosi colpi di scena all’orizzonte, d’altro canto, lo aveva messo in chiaro fin da subito il procuratore capo di Potenza, Francesco Curcio, evitando di sottoporsi alle domande dei giornalisti il giorno degli arresti, per affidare a una nota un succinto resoconto sul «primo e iniziale filone» di una «più vasta indagine (ancora in pieno svolgimento) riguardante estese, reiterate ed illecite collusioni fra pubbliche amministrazioni, professionisti e imprenditori in Basilicata».
Da appurare restano senz’altro i dubbi evidenziati dallo stesso pm nella sua richiesta di misure cautelari, dove parla esplicitamente di un contesto «in via di ulteriore approfondimento istruttorio» legato alla gestione delle pratiche in Regione della Cobar spa dell’imprenditore altamurano Vito Barozzi, titolare dell’appalto da 100 milioni per il Tronco di Acerenza dello Schema idrico Basento Bradano e interessato anche alla lottizzazione Matera 90, nella città dei Sassi.

L’obiettivo degli inquirenti, infatti, sarebbe di «verificare», anche ai dati estratti dai telefonini dell’ex governatore Marcello Pittella (indagato a piede libero), se rispetto allo sblocco dei pagamenti della Cobar, che secondo l’accusa sarebbe stato comprato da De Bonis pagando una mazzetta da 25mila euro a Di Lascio, «ci si trovi innanzi a una ipotesi di traffico d’influenze, fattispecie allo stato contestata perché supportata da gravi indizi, ovvero se ricorrano anche più gravi delitti». Nel qual caso ci sarebbe da «individuare tutti i soggetti coinvolti».

Poi c’è una vecchia causa per un esproprio a Ruoti, il cui fascicolo risulta per intero tra la documentazione sequestrata nello studio De Bonis.
Parrebbe già chiuso, invece, l’altro filone già emerso dell’inchiesta degli agenti della Squadra mobile: quello sulle informazioni riservate “vendute” a De Bonis da D’Apolito, responsabile dell’ufficio “I” del comando regionale della Guardia di finanza, che ha fatto emergere anche un possibile dossieraggio degli ex colleghi rivolto all’allora candidato governatore Vito Bardi, già comandante in seconda proprio delle Fiamme gialle.

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