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Da sin. Vincenzo Di Muro, Antonio Ferrieri e Alessandro Patriziano

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A gennaio l’inizio del dibattimento per i presunti strozzini del clan. Alla sbarra con Ferrieri e Patriziano anche il boss Di Muro (per una pistola)

POTENZA – Inizierà il prossimo 20 gennaio il dibattimento a carico del boss Vincenzo Di Muro e altre 7 persone nell’ambito del processo su un giro di prestiti usurai a operai e professionisti di Melfi.
Lo ha deciso il gup Lucio Setola accogliendo la richiesta di rinvio a giudizio avanzata dal pm Laura Triassi anche per l’imprenditore Antonio Ferrieri, suo fratello Vittorio, il nipote Pierluigi Lomio, il presunto esattore Romeo Chincoli (considerato l’esattore dei Ferrieri), più Alessandro Patriziano e i suoi due figli, Michele e Santo Fabio.
Le indagini, condotte dalla sezione anticrimine della Squadra mobile del capoluogo, erano partite dalle frequentazioni di Vincenzo Di Muro, considerato il boss dell’omonimo clan e tuttora detenuto per scontare una condanna definitiva per mafia. Così sono venuti alla luce i contatti con Antonio Ferrieri e quei prestiti, che secondo quando denunciato da alcune delle presunte vittime, avrebbero previsto tassi d’interesse che oscillavano tra il 50% all’anno e il «20% al mese», in base all’ammontare del capitale in questione. Stesso discorso per i Patriziano, che si sarebbero fatti forti, a loro volta, del timore che incutevano per i rapporti notori con gli uomini del clan.
Tra le vittime sono state individuati semplici operai, che chiedevano prestiti nell’ordine di poche centinaia di euro, e insospettabili professionisti, tra cui un dentista e un noto ginecologo del posto, a cui sarebbero state affidate somme tra i 15 e i 20mila euro alla volta.
L’inchiesta, soprannominata allusivamente “regimental” dal noto disegno per cravatta, a luglio ha portato in carcere Antonio Ferrieri e Alessandro e Santo Patriziano (padre e figlio). Per altri 5, invece, erano scattate misure cautelari meno afflittive, mentre per il solo Di Muro era stata respinta la richiesta di un’ulteriore ordinanza, per una pistola che Ferrieri avrebbe custodito al posto suo.
Nei capi d’imputazione si parla di usura ed estorsione aggravate dal metodo mafioso anche se a settembre il Tribunale del riesame ha smontato, come in precedenza aveva fatto il gip, la tesi di una «stretta interrelazione tra Ferrieri e Vincenzo Di Muro, idonea a favorire il clan di appartenenza del Di Muro».
Dalle indagini su Ferrieri sono scaturite anche le accuse sui lavori affidati dal Comune di Melfi alla sua ditta e la gestione dell’appalto 2017 per le luminarie di Natale, per cui a giugno il sindaco Livio Valvano e l’ex presidente del consiglio comunale Luigi Simonetti, sono stati sottoposti al divieto di dimora in città e alla sospensione dell’incarico (poi revocata).
Ieri, di fronte al gup Lucio Setola, è iniziata anche l’udienza preliminare nei loro confronti, che però è stata subito rinviata a gennaio.
I rapporti tra Simonetti e Ferrieri e tra questi e alcuni noti pregiudicati del melfese come i fratelli Di Muro, però, erano stati anche tra gli elementi che ad agosto aveva spinto il prefetto di Potenza Annunziato Vardé a insediare una commissione d’accesso nel Municipio di Melfi per valutare l’opportunità di uno scioglimento dell’amministrazione per infiltrazioni mafiose.
Il prefetto del capoluogo aveva concesso alla commissione tre mesi di tempo, prorogabili per altri tre mesi, per valutare la situazione e suggerire i provvedimenti da adottare.

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