X
<
>

Condividi:
3 minuti per la lettura

POTENZA – Avanti nonostante i dubbi di costituzionalità sulla separazione delle accuse tra presunti corrotti e corruttori, e la richiesta di un’ulteriore separazione tra il filone politico e il filone tecnico dell’inchiesta.

Si è conclusa così ieri mattina, davanti al collegio presieduto da Rosario Baglioni, la prima udienza del processo, con rito immediato, per sette dei quasi 50 indagati nell’inchiesta della procura di Potenza sui bandi pilotati e le corruttele all’ufficio tecnico del Comune di Orazio e all’ex genio civile di Melfi (LEGGI LA NOTIZIA). Che poi sarebbero i sette che da novembre sono sottoposti a misure cautelari (confermate anche al Riesame), ovvero: l’ex sindaco Tommaso Gammone (obbligo di domora), e la sua ex assessore, Rosa Cetrone (obbligo di domora); un dirigente e un funzionario dell’ufficio tecnico del Comune di Venosa, Antonio Cacosso e Emanuele Lichinchi (entrambi agli arresti domiciliari); il funzionario dell’ex genio civile di Melfi, Nicola Calabrese, e suo figlio Andrea, architetto (entrambi agli arresti domiciliari); più il progettista venosino Mario De Feudis (arresti domiciliari).

I giudici hanno respinto le questioni preliminari avanzate, in particolare, dall’avvocato Fabio Viglione per De Feudis, che riguardavano, tra l’altro, la costituzionalità di una diversificazione del giudizio tra i sette per cui la procura ha chiesto e ottenuto il rito immediato in ragione delle misure restrittive ancora in essere e gli altri co-indagati.

Viglione aveva criticato anche il mancato deposito di una consulenza tecnica sui supporti informatici sequestrati il giorno degli arresti, che avrebbe impedito, in astratto, alle difese, una valutazione a 360 gradi sulla possiblità di accedere a riti alternativi.
Per l’ex sindaco Gammone, invece, è intervenuto l’avvocato Vincenzo Siniscalchi, noto alle cronache per le battaglie nel foro napoletano ma pur sempre di origini venosine.

Siniscalchi ha denunciato la tendenza dell’accusa «a «criminalizzare un intero partito politico». Vale a dire il Pd della città di Orazio. Infine ha chiesto, anch’egli inutilmente, che le vicende per cui sono stati coinvolti i membri della vecchia amministrazione comunale vengano giudicate in maniera separata da quelle che riguardano i tecnici dell’ex genio civile di Melfi e dell’ufficio tecnico del Comune di Venosa.

Immediata la replica del pm Antonio D’Antona che ha escluso intenti politici nell’azione della procura e ha parlato di un’inchiesta che ha portato semplicemente ad «imbattersi in soggetti che rivestivano cariche amministrative e appartenevano a uno stesso partito».

Superate le questioni preliminari il presidente del collegio del Tribunale di Potenza ha dichiarato aperto il dibattimento.

Subito dopo, però, l’udienza è stata rinviata al 15 luglio per il deposito della consulenza tecnica mancante e la decisione sulle richieste di prova di accusa e difesa.

L’inchiesta dei carabinieri Venosa era iniziata a marzo 2018, con l’arresto in flagranza, per concussione, di un funzionario dell’ufficio difesa del suolo di Melfi, che in seguito ha iniziato a collaborare con gli inquirenti puntando il dito sul collega Calabrese e su alcuni professionisti che ruotavano attorno a lui. Professionisti che hanno condotto gli investigatori fin dentro il Comune di Venosa.

Condividi:

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

EDICOLA DIGITALE