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Gli ultimi arresti (foto Andrea Mattiacci)

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POTENZA – Hanno optato per la facoltà di restare in silenzio gli ultras del Rionero comparsi ieri mattina davanti al gip Lucio Setola.

Sono iniziati e si sono chiusi così, nel tempo necessario per ultimare le formalità, gli interrogatori di garanzia dei primi destinatari dell’ultima ordinanza di misure cautelari per i tragici fatti di Vaglio Scalo, che sono stati convocati nel Palazzo di giustizia di Potenza.

Oggi in aula dovrebbero comparire i restanti, quindi il gip dovrebbe sciogliere la sua riserva sulle istanze di revoca delle misure presentate dalle difese. Proprio la scelta di restare in silenzio, tuttavia, rischia di indirizzare la decisione verso una conferma di arresti e obblighi di dimora appena disposti. Rinviando un eventuale attenuazione delle restrizioni alla decisione del Tribunale del riesame, che rischia di slittare a dopo Ferragosto.

A dettare il cambio di linea difensiva degli ultras rispetto all’atteggiamento collaborante (a parte rare eccezioni) tenuto dai destinatari della prima ondata di arresti per i fatti di Vaglio Scalo, sarebbe stato il contesto assai diverso in cui sono maturate le nuove misure cautelari.

La sera del 19 gennaio, infatti, i 25 fermati (di recente tornati in libertà dopo la richiesta di affidamento in prova ai servizi sociali, ndr) erano stati identificati sul luogo dell’agguato ai tifosi del Melfi, sfociato nella morte del 39enne di Rionero, Fabio Tucciariello, investito dall’auto di uno di loro (fermato a sua volta). I nomi dei 16 destinatari dell’ordinanza eseguita mercoledì (4 ai domiciliari e 13 sottoposti all’obbligo di dimora a Rionero), invece, sono stati il prodotto di una complessa serie di accertamenti su quanti erano presenti al momento dell’agguato e della morte di Tucciariello, ma se la sono data a gambe prima dell’arrivo della polizia.

A partire proprio dalle dichiarazioni di alcuni degli arrestati, sommate ai dati recuperati dai cellulari sequestrati e una serie di intercettazioni in carcere, specie tra i giovani ultras e i loro familiari, in cui si parlava dell’accaduto. Una serie di elementi incrociati che comunque non sono stati ritenuti sufficienti per spiccare sei ulteriori misure cautelari nei confronti di altrettanti indagati, tuttora a piede libero, sui cui i pm potrebbero provare a sondare lo spirito collaborativo di chi dovesse decidere di rispondere all’interrogatorio di garanzia. Sperando in un immediato ritorno in libertà.

«Quelli hanno lasciato il morto a terra… hai capito, ho capito che si sono fatti i cazzi loro. Io non ho avuto il coraggio di scappare».

Così si legge nella trascrizione del colloquio in carcere tra uno dei primi arrestati e lo zio. «Quello (omissis) non è nemmeno avvicinato nemmeno a pochi metri per vedere i morti a terra, perché là le persone vomitavano».

Per gli ultras della Vultur, tutti, le accuse restano di tentate lesioni, danneggiamento, violenza privata e porto di armi improprie.

Stando a quanto ricostruito dagli investigatori l’agguato ai rivali del Melfi sarebbe stato premeditato e organizzato nei giorni precedenti al 19 gennaio.

Tra i motivi alla base del gesto, sempre secondo gli investigatori, ci sarebbe stata anche la necessità di vendicare «l’onta» per uno sfregio inflitto alla memoria del fratello di Tucciariello, a sua volta tifoso della Vultur e deceduto qualche anno fa.

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