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Antonio Nicastro

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POTENZA – Altri sei mesi di indagini per appurare se vi siano stati errori o omissioni che hanno causato la morte per covid 19, il 2 aprile dell’anno scorso, dell’attivista e blogger potentino, Antonio Nicastro.
Li ha concessi, all’inizio di febbraio, il giudice per le indagini preliminari di Potenza, Teresa Reggio, accogliendo la richiesta, in tal senso, avanzata dal pm titolare del fascicolo: il procuratore aggiunto del capoluogo, Maurizio Cardea.

Gli avvisi di garanzia con la comunicazione della proroga concessa sono in via di notifica da qualche giorno ai 12 indagati per omissione di atti d’ufficio e omicidio colposo. Vale a dire il direttore sanitario dell’Azienda sanitaria di Potenza, Luigi D’Angola, il direttore dell’Ufficio igiene ed epidemiologia della stessa Asp, Michele De Lisa, il direttore del presidio ospedaliero del San Carlo di Potenza, Angela Bellettieri, il coordinatore dell’unità di crisi anti virus della Regione, Michele Labianca, e altri sanitari e dipendenti dell’Asp (Nicola Manno, Silvana Di Bello, Michele Calogero, Giuseppe Ferraro, Maria Tamburrino, Carmelina Mazza, Maria Neve Gallo e Pasqualina Sarli).

Alla base della richiesta di proseguire le indagini Cardea evidenzia la necessità, in maniera molto generica, di «opportuni approfondimenti investigativi», su cui non si sofferma. L’attesa, ad ogni modo, sarebbe per l’esito di una nuova super-consulenza disposta dagli inquirenti, dopo quella che a ottobre aveva escluso responsabilità mediche per l’accaduto.

Contro le conclusioni di quell’elaborato, infatti, erano subito insorti i familiari di Nicastro. Di qui l’esigenza di fare chiarezza su una serie di questioni sospese. Sempre a partire dai ritardi nell’effettuazione del tampone diagnostico, che avrebbe potuto permettere alla vittima un accesso più tempestivo alle cure ospedaliere.

Assieme al caso di Nicastro restano all’esame degli inquirenti potentino ci sono almeno altri due decessi per covid avvenuti nelle primissime settimane dell’emergenza sanitaria, su cui aleggia il sospetto di malasanità: quello dell’imprenditore potentino Palmiro Parisi, e quello del vigile urbano di Rapolla, Giuseppe Larotonda.

Sulla gestione dell’emergenza sanitaria lucana più in generale, invece, risulta aperta un’ulteriore inchiesta che ha preso di mira le corsie privilegiate garantite a pochi privilegiati per l’accesso a tamponi diagnostici, in quei terribili giorni tra marzo e aprile dell’anno scorso. Quando ancora scarseggiavano kit e reagenti.

Più di recente, poi, è stata messa sotto la lente anche la somministrazione dei vaccini, con l’intenzione di capire quanti “saltafila” siano riusciti a ottenere una dose dell’antidoto senza averne diritto. Di qui l’acquisizione all’Asp, una decina di giorni fa, degli elenchi con tutti i pazienti immunizzati.

Le ricadute più importanti, tuttavia, sono arrivate dalle verifiche sul focolaio esploso la scorsa primavera nella casa alloggio per anziani di Marsicovetere e nella casa di riposo San Giuseppe gestita dalle catechiste del Sacro Cuore a Brienza.

Ben 22 decessi, per cui agli inizi di marzo sono finiti agli arresti i gestori della struttura valdagrina, accusati di omicidio ed epidemia colposa.
In Corte dei conti, infine, sono stati avviati accertamenti sui soldi spesi per rendere operative le tensostrutture donate dal Qatar all’Italia, e poi montate poco lontano dai due ospedali cittadini di Potenza e Matera. Strutture che attualmente vengono utilizzate per effettuare vaccinazioni e tamponi.

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