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Piero Amara

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POTENZA – Sarebbe stato un poliziotto originario di Matera, Filippo Paradiso, a presentare l’avvocato Piero Amara all’ex procuratore di Taranto, Carlo Capristo.

Ma anche chi teneva i rapporti con diversi esponenti del Consiglio superiore della magistratura, come l’attuale presidente del Senato Elisabetta Casellati.

E chi avrebbe propiziato l’assunzione nello studio di Amara, all’epoca consulente dell’amministrazione straordinaria dell’Ilva, di uno dei magistrati che più a lungo si è occupato delle indagini sull’acciaieria. Vale a dire l’attuale procuratore di Matera, Claudio Argentino.

È quanto emerge dagli atti dell’inchiesta della procura di Potenza per cui ieri sono finiti in carcere sia Paradiso che l’avvocato siciliano, alla ribalta da settimane per le sue dichiarazioni ai pm di Milano sull’esistenza di una presunta superloggia massonica segreta “Ungheria” composta da magistrati ma anche forze dell’ordine, alti dirigenti dello stato e alcuni imprenditori».

Dichiarazioni che hanno acceso uno scontro senza precedenti anche all’interno del Csm.

A svelare agli inquirenti il ruolo di «relation man» di Paradiso, secondo la dizione utilizzata dai magistrati, sarebbe stato un ex socio di Amara, Giuseppe Calafiore, coinvolto nell’inchiesta sulla compravendita di sentenze in Consiglio di Stato e il cosiddetto «sistema Siracusa, per cui vennero entrambi arrestati nel 2018.

Ai pm di Perugia, che poi hanno trasmesso i verbali a Potenza, Calafiore aveva raccontato dei soldi che Amara passava al poliziotto curargli buone relazioni romane, e andare «a cena con diversi membri del Csm». Come pure di un incontro propiziato da Paradiso tra un magistrato, che aspirava a una nomina da parte del Csm, ed Elisabetta Casellati, all’epoca ancora soltanto membro laico dell’organo di autogoverno della magistratura.

A luglio dell’anno scorso, quindi, l’attuale presidente del Senato è stata sentita come persona informata dei fatti ed ha confermato di averlo conosciuto, nel 2015. Come pure di averlo anche assunto per un periodo nel suo staff, «a titolo gratuito». Ma ha detto di non ricordare di aver parlato con lui di Capristo e delle sue aspirazioni di carriera come procuratore, prima a Bari e poi a Taranto.

«È un funzionario di polizia – ha spiegato Casellati – del quale il sottosegretario Gianni Letta mi parlava assai bene per averlo conosciuto nel periodo del governo Berlusconi, quando aveva lavorato alla Presidenza del Consiglio (…) per quanto io ricordi, non ha mai interloquito con me in ordine alle domande presentate dal dottor Capristo».

Sempre da Perugia sono stati trasmessi a Potenza anche alcuni dati estratti dallo smartphone dell’ex presidente dell’Anm Luca Palamara, da due anni al centro dello scandalo sulle nomine pilotate al Csm.

Ma «al fine di comprendere la effettiva entità della capacità relazionale» di Paradiso, il gip Antonello Amodeo, che ha firmato l’ordinanza eseguita ieri mattina dagli agenti delle Fiamme gialle di Potenza, cita anche un altro episodio «egualmente rilevante» riguardante il rapporto con Pietro Argentino, attuale procuratore di Matera ma «all’epoca procuratore aggiunto a Taranto».

A raccontarlo agli inquirenti è stato uno dei legali dell’Ilva di Taranto, Angelo Loreto, che l’anno scorso, parlando con un giornalista senza sapere di essere intercettato, gli avrebbe confidato il retroscena dell’assunzione del figlio di Argentino nello studio di Amara.
«Inizialmente Argentino ne aveva parlato proprio con Loreto», è riportato nel brogliaccio con la sintesi della conversazione effettuata dagli investigatori.

«Successivamente proprio Loreto aveva appreso da Amara che la segnalazione (…) era andata a buon fine».

«Secondo Loreto – prosegue il brogliaccio – detta comunicazione era stata fatta da Amara al telefono in modo tale da evitare qualsiasi riferimento al coinvolgimento di Paradiso. Tuttavia, così come riferitogli direttamente dal figlio del dottor Argentino, il buon esito della vicenda era da imputare proprio a Filippo Paradiso, che conosceva anche il dottor Argentino».

Né il procuratore di Matera, né il figlio, né Loreto risultano iscritti sul registro degli indagati della procura di Potenza.

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