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Francesco Curcio (a sinistra) ieri a Roma in audizione affianco al presidente della commissione antimafia Nicola Morra

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POTENZA – Altre due indagini in dirittura di arrivo contro altrettanti organizzazioni criminali nel potentino. Più tre nel materano. Sono 5 i colpi annunciati ieri pomeriggio dal procuratore capo di Potenza, Francesco Curcio, davanti alla commissione parlamentare Antimafia. A chiedere la sua audizione era stato il senatore lucano Pasquale Pepe (Lega), vicepresidente della commissione, dopo il clamore suscitato dalle ultime inchieste sugli affari della mala lucana. Clamore seguito dalla riapertura del dibattito sulla necessità di istituzione di un centro operativo della Direzione investigativa antimafia anche in Basilicata.

Parlando nella Sala del refettorio di Palazzo San Macuto, il procuratore ha ribadito il senso della proposta avanzata, formalmente, dal direttore della Dia al ministero dell’Interno, ormai due anni orsono. Con l’avallo dei magistrati della Direzione distrettuale antimafia lucana diretta dallo stesso Curcio. Quindi ha anche liquidato in maniera perentoria le obiezioni che hanno impedito, almeno finora, il suo accoglimento.

«Alla base del diniego ci è stata offerta una motivazione male esplicitata, sottesa, sul fatto che la Basilicata è tutto sommato una regione tranquilla». Ha spiegato il procuratore di Potenza. «Ci dissero che in base all’indice dei reati commessi eravamo all’89simo posto in Italia. Io però faccio rilevare che la provincia di Reggio Calabria è all’80simo posto in base all’indice sui reati commessi. E non penso che ci sia un cristiano che possa sostenere che non ci voglia la Dia a Reggio Calabria perchè sono all’80simo posto per numero di reati commessi pro capite. Quello che conta non è il numero ma è la qualità dei reati che vengono commessi».

Curcio ha ricordato la collaborazione col prefetto di Potenza, che aveva offerto, gratuitamente, anche dei locali, a poche centinaia di metri dagli uffici della procura, idonei a ospitare il nuovo centro operativo. Vale a dire: «15/20 investigatori da distaccare da Bari o da Salerno per il supporto alle indagini su appalti e riciclaggio, che di solito impiegano più tempo». Quindi si è auspicato che la recente istituzione di una nuova sezione della Dia a Foggia non diventi un ulteriore motivo per lasciare “scoperta” una zona «così ampia e con presenze così significative come distretto di Potenza».

Per rendere ancora più chiaro il concetto il procuratore si è soffermato a lungo sulla situazione complessiva sul fronte lucano del contrasto alla criminalità organizzata. Anche se in più di un’occasione ha chiesto e ottenuto la segretazione delle sue dichiarazioni. E non ha mancato di menzionare i problemi, passati e in qualche modo presenti, soprattutto nel materano, dove ci sarebbe «la situazione più critica». Con «organizzazioni criminali autoctone e pesanti infiltrazioni da organizzazioni criminali dell’alta Calabria e della Puglia», da un lato. E «un lungo stallo investigativo a causa di una non efficiente cooperazione tra la Direzione distrettuale antimafia e la procura circondariale di Matera». Curcio ha ricordato una ricognizione effettuata dall’attuale procuratore di Lagonegro, Gianfranco Donadio, quando era ancora in servizio alla Direzione nazionale antimafia come magistrato delegato alla supervisione della situazione nel distretto lucano. «Abbiamo enumerato credo 80 casi in cui sarebbe stata opportuna una pronta chiamata della Direzione distrettuale antimafia da locale procura circondariale. Parliamo di episodi intimidatori ai danni di aziende ortofrutticole ed esponenti politici che non erano stati in alcun modo comunicati al mio ufficio con un conseguente ritardo investigativo che ora stiamo cercando di recuperare».

«In relazione a queste problematiche insorte tra 2011 e 2015, che portarono alla non conferma dell’allora procuratore di Matera, è subentrata situazione in cui, seppur non a quel livello, si sono rilevate criticità non indifferenti». Ha proseguito il procuratore. Quindi ha annunciato la firma, tra due settimane, di un protocollo redatto appositamente dalla procura nazionale antimafia per guidare il lavoro delle forze dell’ordine ed evitare il protrarsi di queste disfunzioni, consentendo l’impiego immediato di tutti gli uomini e gli strumenti investigativi, a partire dalle intercettazioni, che sono nelle disponibilità esclusiva della dda. «La bozza – ha spiegato Curcio -prevede che i reati spia restino di competenza della procura circondariale fino a quando non si configurino situazioni particolari. Ma se un imprenditore riceve una telefonata con una richiesta di 20mila euro e viene trovato un lumino con la testa di un capretto sul suo cantiere, non importa che possa essere lo scherzo di un buontempone. La comunicazione a noi deve essere fatta subito per permetterci di avviare gli accertamenti sui responsabili la sera stessa. Poi anche alla procura circondariale, per carità».

«Nella zona del materano, per quella che è la mia esperienza non solo alla direzione nazionale antimafia ma anche alle procure di Reggio e Napoli, la situazione criminale non è dissimile a quella di zone ad altissima densità criminale di napoletano, casertano e Calabria». Ha proseguito il procuratore di Potenza. «C’è uno stillicidio continuo di atti intimidatori nei confronti di tutti gli operatori economici, piccoli e grandi, c’è un monopolio in alcuni settori imprenditoriali e una penetrazione nelle amministrazioni locali confermata di recente dallo scioglimento del Comune di Scanzano Jonico».

Curcio ha menzionato, in particolare, la capacità del clan scanzanese guidato dall’ex carabiniere Gerardo Schettino di infiltrarsi nella gestione dei servizi per il turismo, e di monopolizzare la commercializzazione degli inerti attraverso il suo «imprenditore di riferimento», Franco Carlomagno. Quanto al peso criminale di Schettino, ha citato alcune intercettazioni effettuate dai pm di Reggio Calabria in cui malavitosi del posto farebbero riferimento alla necessità di parlare con lui se occorreva muoversi nel territorio di Scanzano e dintorni. «Questo signore che comandava un clan così nel 2013/2014 avvicinò un imprenditore e gli disse che gli doveva dare il 10% dei lavori». Ha insistito Curcio, tornando sulle persistenti disfunzioni dell’azione giudiziaria. «E la procura di Matera lo rinviò a giudizio per estorsione semplice davanti al giudice monocratico della sezione distaccata del Tribunale di Pisticci. Quindi venne assolto perché il giudice mise a confronto in aula il povero cristo col mafioso, il capoclan, e quello non ebbe forza di ribadire le accuse. Questo per dire che situazione di difficoltà si è avuta».

Quanto alla situazione nel potentino, invece, il capo dei pm antimafia lucani ha citato l’ultima inchiesta sulle attività del clan guidato dal pignolese Saverio Riviezzi. A partire dalle infiltrazioni nella gestione del bar del Palazzo di giustizia di Potenza. «Qui ci sono organizzazioni che operano più subdolamente». Ha proseguito. «Non si ha lo stillicidio di attentati del materano. E’ una mafia più evoluta particolarmente versata nella penetrazione dell’economia legale».

Da distinguere, infine, la situazione nell’area del melfitano, considerata «contigua con Cerignola» dal punto di vista criminale, dove in questo momento resterebbe in vigore una «pace armata tra organizzazioni», che si sono combattute in maniera sanguinosa per decenni. Come pure nel lagonegrese, che rappresenterebbe l’unico territorio in cui la criminalità «autoctona» si sarebbe sostanzialmente ritirata cedendo il passo a un’organizzazione proveniente da un’altra regione. Vale a dire il potente clan ndranghetistico dei Muto di Cetraro.

Prima di chiedere la segretazione delle sue dichiarazioni, Curcio ha fatto un fugace riferimento anche a un «grave episodio» di mancata collaborazione con la Dda di Potenza da parte della procura di Lagonegro, simile a quelli contestati ai colleghi materani, risalente alla metà del 2018. Ma non è difficile immaginare che la questione possa ruotare attorno all’omicidio del 42enne lauriota, Mariano Di Lascio, di cui non si sono avute più notizie dal 21 novembre del 2017, fino al ritrovamento del corpo, giusto a metà del 2018, avvolto in un telo di cellophane sigillato con il nastro adesivo nel bosco di contrada Canicella. A propiziare il passaggio del caso all’Antimafia di Potenza, infatti, fu soltanto un’inchiesta del Quotidiano del Sud, da cui emerse il ruolo di informatore che aveva assunto Di Lascio, per alcuni amici carabinieri, su vari traffici illeciti nell’area sud della regione. L’ultima questione affrontata a microfoni aperti dal procuratore, circondato dalla curiosità per il recente arresto dell’avvocato Piero Amara e l’inchiesta sul processo all’Ilva, è stata la proposta di riapertura del Tribunale di Melfi. Proposta su cui soltanto martedì il consiglio regionale della Basilicata si era espresso all’unanimità chiedendo al presidente della giunta, Vito Bardi, di sollecitare il governo in tal senso.

Su questo, però, Curcio si è mostrato tutt’altro che convinto. «Io personalmente sono contrario alla frammentazione degli uffici giudiziari. Ha dichiarato. «Sono piuttosto favorevole al potenziamento di realtà centralizzate perché più difficilmente raggiungibili da chi ti vuole influenzare, specie se ci sono magistrati del posto». «Si può pensare a una presenza della giurisdizione magari ampliando la competenza giudice di pace». Ha proseguito il procuratore distrettuale. «Ma mantenendo l’unitarietà investigativa a Potenza. Creare un altro tribunale disperderebbe il poco personale che c’è e a mio avviso restituirebbe minore efficienza, imparzialità e autonomia all’esercizio della giurisdizione».

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