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POTENZA – Cade l’accusa di epidemia colposa di covid 19. Mentre vanno a dibattimento quelle per le 22 morti nella strage degli anziani ospiti delle case di riposo “Ramagnano” di Marsicovetere e “San Giuseppe” di Brienza.
Lo ha deciso, ieri, Il giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Potenza, Lucio Setola, accogliendo solo in parte la richiesta di rinvio a giudizio avanzata dal pm Antonella Mariniello nei confronti dei gestori della prima struttura, Nicola Romagnano e Romina Varallo, e della direttrice della seconda, suor Fulgenzia, al secolo Anna Sangermano, madre superiora della Suore missionarie catechiste del Sacro Cuore di Brienza.


Il gup ha accolto le eccezioni delle difese dei tre imputati, rappresentati in aula dagli avvocati Giuseppe Malta, per Ramagnano e Varallo, e Gaetano Basile, per Sangermano, sulla configurabilità del reato di epidemia colposa.
Stando a una recente sentenza della Corte di cassazione, infatti, il reato si potrebbe contestare solo per condotte commissive, che abbiano contribuito attivametne alla propagazione del virus, e non, come in questo caso, per condotte omissive. Ovvero la mancata adozione di cautele e presidi anti contagio.
I fatti risalgono alla fine di settembre dell’anno scorso, quando in seguito alla morte di una prima anziana ospite della struttura, in piena seconda ondata covid, i Nas hanno avviato le indagini.


Nei giorni successivi, mentre dalla casa alloggio venivano portati fuori cadaveri di anziani che non sarebbero dovuti essere lì (alla fine la conta dei morti si sarebbe fermata a 17), è bastato poco per comprendere che in quella casa di riposo – già controllata nella prima ondata – la situazione fosse completamente sfuggita di mano.


E non è passato inosservato nemmeno il trasferimento «truffaldino» in un’altra struttura di uno degli oltre 20 ospiti non dichiarati della casa alloggio di Marsicovetere, che era autorizzata per 22 posti letto. Perché è proprio questo trasferimento che avrebbe portato il contagio all’interno della casa di riposo «San Giuseppe» di Brienza, gestita dalla Suore missionarie catechiste del Sacro Cuore, dove poi è scoppiato un altro focolaio con 5 morti.
A marzo di quest’anno i riscontri emersi durante le indagini avevano portato all’arresto di Ramagnano e Varallo. Finiti prima in carcere e poi ai domiciliari, dopo che il Tribunale del riesame aveva giudicato insussistente, a sua volta, l’accusa di epidemia colposa.


Per Ramagnano e Varallo, quindi resta la contestazione di 22 omicidi colposi, falso nella tenuta dei registri della struttura, e circonvenzione di incapace. Mentre suor Sangermano dovrà rispondere soltanto di 5 di quei 22 decessi, e di falso, anche lei.


Commentando quanto emerso sull’accaduto, il giorno degli arresti, il procuratore capo di Potenza, Francesco Curcio, parlò della casa di riposo di Marsicovetere come qualcosa di molto diverso di un «semplice focolaio» di contagi da covid 19, più simile a un «altoforno», mentre il gip parlò, nell’ordinanza di custodia cautelare in carcere, di «una vera e propria strage».
Secondo le contestazioni iniziali, infatti, Ramagnano e Varanno avrebbero stipato nella loro casa alloggio più del doppio delle persone ammesse (49 invece che 22), non avrebbero adottato misure anti contagio, avrebbero ammesso nuovi ospiti a epidemia già esplosa senza tamponi e quarantene, e avrebbero fatto restare nella struttura operatori risultati positivi. Infine, dopo la scoperta del focolaio, avrebbero trasferito a Brienza una loro ospite sottraendola ai tamponi programmati e innescando il secondo focolaio di contagio all’interno della struttura gestita dalle suore.
Il dibattimento del processo comincerà il prossimo 17 novembre davanti al collegio del Tribunale di Potenza. Se il gup avesse condiviso l’accusa di epidemia colposa i tre sarebbero stati rinviati a giudizio davanti alla Corte d’Assise.

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