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POTENZA – In Romania c’era Gerardo Angiletta, che per 15mila euro al mese gestiva 20 persone addette alla manutenzione, 24 ore su 24, dei server e dei codici della piattaforma di poker online: “Dollaro Poker”. In Italia agivano, da punto di vista tecnico, Giuseppe Caulo e Lorenzo Carbone, oltre a Giovanni Marinelli e Marco Triumbari per gli aspetti economici e amministrativi. Oltre a uno dei capi dell’organizzazione, Antonio Tancredi. E a Panama c’era Valentino Siesto, incaricato di sviluppare gli affari nel continente sudamericano: dall’Argentina a Santo Domingo.

Sono loro «quelli di Potenza» transitati dal 2013 in poi alle dipendenze di Luigi Giuseppe Cirillo di Mercato San Severino, figlio del defunto boss calabrese di Sibari. Una transizione obbligata dopo il passo indietro compiuto dall’ex “re del poker online”, Luigi Tancredi, braccato dalle procure di mezza Italia per gli affari stretti con alcune delle più potenti organizzazioni criminali esistenti. Dai casalesi al boss della ‘ndrangheta emiliana Nicola Femia.

E’ quanto emerge dall’inchiesta dell’Antimafia di Salerno per cui martedì sono state spiccate 33 ordinanze di misure cautelari in carcere. Per accuse che vanno dall’associazione per delinquere finalizzata alla commissione di delitti in materia di giochi e scommesse illegali, all’intestazione fittizia di beni. Passando per il riciclaggio, il reimpiego di denaro provento di delitto in attività economiche, l’autoriciclaggio.

Tra i destinatari della misura ci sono anche 7 dei 9 lucani coinvolti: vale a dire i due Tancredi, Angiletta, Carbone, Caulo, Marinelli e Siesto, che però risulta irreperibile. Mentre compaiono come indagati a piede libero la moglie di Luigi Tancredi, Donatella Valente, e Marco Triumbari, che è comunque in carcere per le accuse mossegli nell’ambito dell’inchiesta della Dda di Potenza sul clan Martorano.

Quella fotografata dagli inquirenti salernitani è la prosecuzione degli affari avviati da Luigi Tancredi con la nascita della sua piattaforma di gioco online “Dollaro Poker”, che nel 2013 ha ceduto a Cirillo.

«AI fine di conseguire lo scopo delittuoso – spiegano gli inquirenti negli atti a sostegno delle misure cautelari -, la nuova associazione facente capo al Cirillo si dotava di una autonoma struttura di soggetti, mezzi e luoghi, conservando alcune peculiarità del precedente sodalizio capeggiato da Tancredi, ma innovandosi dal punto di vista tecnico e gestionale».

Quanto ai ruoli all’interno dell’organizzazione spiccano, senz’altro, Angiletta, ma anche Caulo, che avrebbe incassato 6mila euro al mese e viene considerato il padre, in senso informatico, di Dollaro Poker.

Ma Antonio Tancredi avrebbe fatto parte anche di «un vero e proprio organo di autocontrollo interno all’associazione, con competenza e poteri concreti sugli altri sodali». Una «commissione», incaricata «di risolvere i conflitti nascenti tra gli affiliati e di sanzionare gli “illeciti” commessi in danno dell’organizzazione».

Diverso il compito di Carbone, «tecnico e programmatore informatico» a sua volta, che «predisponeva, installava e gestiva la configurazione dei software dei totem» che venivano piazzati in bar e circoli vari.

Mentre Giovanni Marinelli avrebbe collaborato con Antonio Tancredi «nell’amministrazione e nella contabilità del poker online illegale», e Triumbari, titolare del bar di fronte al Palazzo di giustizia di Potenza, si sarebbe occupato «dei contatti tra i membri di vertice dell’associazione (Cirillo Luigi Giuseppe, Erra Vincenzo e Tancredi Antonio) organizzando gli incontri di persona tra questi». Inoltre avrebbe agito «quale corriere che provvede al trasferimento di soldi contanti, provento illecito del gaming online della piattaforma».

Il giudice delle indagini preliminari, in particolare, ha ritenuto allo stato fondata la ricostruzione delle risultanze investigative, formulata all’esito dell’attività d’indagine, svolta dal Nucleo investigativo del Comando provinciale di Salerno, secondo la quale la presunta consorteria criminale avrebbe effettuato le proprie attività mediante siti internet prevalentemente con domini “.com” e “.eu”, tutti privi delle prescritte autorizzazioni dei Monopoli di Stato italiani, allocati presso diversi server che, seppur coordinati da Mercato San Severino, sono stati materialmente ubicati all’estero, nei cosiddetti paradisi fiscali, tra i quali Panama e l’Isola di Curacao.

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