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Antonio Nicastro

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POTENZA – In quei giorni terribili di metà marzo del 2020, quando è esplosa la pandemia da covid 19, i contagi accertati giornalmente si contavano sulle dita di una mano, ma il virus era ancora del tutto sconosciuto e non si sapeva come affrontarlo in maniera efficace. Inoltre i tamponi diagnostici scarseggiavano, e quelli processati, nelle 24 ore, difficilmente superavano la trentina.

Pertanto la precedenza accordata a 34 “vip” potrebbe essere stata fatale al giornalista potentino Antonio Nicastro.

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È questo il teorema del procuratore aggiunto di Potenza, Maurizio Cardea, e del procuratore capo Francesco Curcio, che a fine gennaio hanno firmato l’avviso di conclusione delle indagini a carico di 9 persone nell’ambito dell’inchiesta avviata sulle morti di Nicastro e dell’imprenditore potentino Palmiro Parisi.

Tra i capi d’imputazione ipotizzati, infatti, si parla di omicidio per colpa medica per la dottoressa del Pronto soccorso del San Carlo, che il 13 marzo del 2020 decise di rispedire Nicastro a casa, nonostante i sintomi da covid 19. Senza suggerire il ricovero al reparto Malattie infettive, né effettuare le analisi che avrebbero potuto far emergere la gravità del suo quadro clinico.

Al direttore sanitario dell’Asp, Luigi D’Angola, e del direttore del reparto di igiene e sanità pubblica dell’Aso, Michele De Lisa, tuttavia, viene contestata una distinta ipotesi di omissione di atti d’ufficio per i ritardi nella somministrazione del tampone diagnostico al giornalista, benché segnalato dal suo medico curante, in quanto sintomatico, sempre dal 13 marzo 2020. Con l’aggravante che «dal giorno 17 marzo 2020 e nei giorni seguenti effettuavano e disponevano il prelievo del tampone su soggetti asintomatici e talvolta anche privi di link epidemiologici».

Gli atti dell’inchiesta

Il Quotidiano ha avuto accesso agli atti dell’inchiesta per capire chi siano stati questi soggetti privilegiati. E quanto emerso ha confermato i sospetti sull’esistenza di canali riservati per l’accesso ai test. Proprio quando sarebbe stato «ancora più necessario riservare la dovuta priorità a soggetti che avevano sintomi clinici evidenti anziché privilegiare largamente coloro che presentavano il solo criterio epidemiologico (e non quelli clinici)».

Così il comandante dell’aliquota di polizia giudiziaria dei carabinieri del Tribunale di Potenza, il colonnello Domenico Del Prete.

«Al contrario, come accertato – prosegue Del Prete -, sono stati ripetutamente favoriti, soggetti che, perlopiù, erano professionalmente e/o politicamente vicini alla dirigenza della Asp di Potenza. Emerge infatti che dall’elenco dei tamponi processati dal Laboratorio analisi che alcuni soggetti sono stati sottoposti più volte al prelievo del tampone (sempre dall’Asp di Potenza), soprattutto nella prima fase dell’epidemia ed in particolare Vito Bardi, presidente della Regione Basilicata, Antonio Maiorano, addetto alla segreteria del presidente della Regione, Ernesto Esposito, capo del dipartimento Politiche della persona della Regione Basilicata, e Sergio Maria Molinari, direttore dell’Unità operativa complessa “Distretto della salute” di Potenza».

Tutti casi per cui: «dalla lettura delle richieste di analisi dei tamponi in loro favore non emergono né criteri epidemiologici né clinici per cui si rendesse necessario sottoporre a tampone tali persone, e nemmeno criteri di priorità assegnati in ragione delle loro funzioni».

Nel complesso, però, sarebbero stati in 34 a scavalcare il giornalista potentino nell’attesa per l’agognato tampone, senza che agli atti vi sia traccia «di eventuali elementi giustificativi della necessità di ritenere tali accertamenti diagnostici prioritari rispetto a quelli rivolti ad altri pazienti tra i quali risulta evidente Antonio Alfonso Luciano Niscastro». Scivolato dal 72esimo al 106simo posto della lista stilata con le prenotazioni e i tamponi effettuati dal 13 al 22 marzo.

E tra questi 34 compaiono anche altri 3 membri della giunta regionale, Francesco Fanelli, Donatella Merra (entrambi della Lega) e Gianni Rosa (FdI). Poi il consigliere regionale Gerardo Bellettieri (Fi), lo stesso De Lisa, un paio di dirigenti dell’ufficio Servizi alla persona della Regione, Rocco Ciorciaro e Daniela Rivela, il segretario particolare dell’assessore Rosa, Michele Castelluccio, la dipendente dell’ufficio di presidenza della giunta, Donata Salvatore, e diversi dirigenti sanitari. Come la dirigente del Crob, Patrizia Aloé, il coordinatore della task force anti virus della Regione, Michele Labianca, e l’attuale direttrice sanitaria dell’azienda ospedaliera San Carlo, Angela Bellettieri.

Per questi ultimi, tuttavia, è occorso un supplemento di indagine che è costato entrambi una contestazione di falso.

Nei moduli di richiesta delle analisi sui tamponi anti covid, infatti, sarebbero stati registrati come «“Rosso Pia” e “Bianco Michele”». Questa la ricostruzione dei pm, per cui si sarebbe trattato di uno stratagemma: «al fine di occultare l’effettuazione dei test con la consapevolezza di poterne comunque conoscere l’esito, essendo la trasmissione dei risultati di laboratorio una delle mansioni della stessa Bellettieri».

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