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POTENZA – Mamma Filomena fatica a trattenere l’emozione. Per 17 anni non ha smesso neppure un attimo di cercare Elisa. Poi, nel luogo in cui le ricerche sempre partivano, il cerchio si è chiuso. «E io da allora questo tratto di strada non lo faccio più, non ce la faccio a passare sotto questa chiesa, ho fatto uno sforzo enorme per venire oggi».


Il 12 settembre di 28 anni fa la vita della famiglia Claps è cambiata per sempre. Ci sono ferite che nulla potrà cancellare, anche la solidarietà che ora la città (o almeno una parte di essa) gli manifesta. Ci sono anni di solitudine e rabbia, di ricerca vana e preghiere inascoltate. «Non sempre questa città mi ha sostenuta», sussurra quella piccola donna che, nonostante tutto, riesce a trovare la forza di sorridere.


La gente passeggia per via Pretoria, proprio come 28 anni fa. Ma stavolta in tanti si fermano ad ascoltarli, ad abbracciarli e a stringergli la mano.
«Sono disposta a chiuderla questa storia – dice riferendosi alla chiesa della Trinità e alla paventata riapertura – ma prima la Chiesa deve rispondere a tre mie domande: chi ha manovrato i fili di questa storia? Restivo è l’assassino certamente, ma non è stato lui a fare tutto il resto. E io voglio sapere chi c’era dietro. Poi voglio sapere chi ha sistemato quella che, per 17 anni è stata la tomba di Elisa. E’ un lavoro fatto da persone che sanno: il corpo è stato coperto con dei mattoni ma nel tetto è stato fatto anche un forellino per evitare che si sentissero gli odori del corpo che si decomponeva. E poi voglio sapere chi ha deciso che Elisa sarebbe stata ritrovata il 17 marzo del 2010. Non è casuale quella data. Hanno lavorato vicino a quel corpo tante volte negli anni precedenti. E a Roma sapevano, quella mattina del 17 marzo, del ritrovamento del corpo già alle 8.30. A noi sono venuti a comunicarlo solo alle 14, quando già la televisione aveva dato la notizia».


Tre domande a cui nessuno darà risposta, Gildo Claps lo sa con certezza: «Ora nessuno rischia niente neppure sul fronte giudiziario. Eppure in questa vicenda l’assassino ha pagato, come è giusto che sia, ma noi siamo certi che ad occultare il cadavere non sia stato Restivo». E far finta di niente, dimenticare e andare avanti è impossibile.


Anche se – e Gildo lo sa benissimo – questo permetterebbe a una comunità profondamente divisa di riconciliarsi. «Noi sappiamo che questa storia crea ancora profonde fratture in questa città e saremmo i primi a volerci lasciare tutto alle spalle. Ma prima di riaprire la chiesa, vogliamo che si aprano le porte alla verità. E speriamo che almeno una parte della città sarà con noi quando loro decideranno di riaprire e noi ci opporremo».


La sfortuna di Elisa – dice Gildo – è stata proprio quella chiesa. «Se fosse stata uccisa da un’altra parte, probabilmente dopo 24 ore il corpo sarebbe stato trovato. Qui – e c’è scritto negli atti giudiziari – c’era don Mimì a comandare incontrastato: neppure al vescovo rispondeva, ma direttamente al Vaticano».
Ecco perché – sottolinea Marianna Tamburrino, referente di Libera Potenza – anche se ufficialmente Elisa Claps non è annoverata tra le vittime di mafia, nei fatti di quello si tratta. E’ mafia quella che nasconde, occulta, distrugge. «Ed Elisa a casa non ci è più tornata, trasformando la vita di questa famiglia in un “fine pena mai”.


Quella chiesa, quella dove Elisa è stata sepolta per 17 anni, «da cui ha visto matrimoni e battesimi di altri», senza essere ritenuta degna di una sepoltura, è il vero terreno di scontro.

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Riaprirla? «Se rispondono alle mie domande». E comunque, dopo quello che è accaduto – si ribadisce più volte – sarebbe più giusto immaginare di trasformarla in un centro che ospiti vittime di violenza, per evitare altri femminicidi.
«Che quando Elisa è morta di femminicidio non si parlava ancora, ma è questo che le è accaduto. E se le porte di questa chiesa di devono spalancare, lo si faccia per aiutare le donne indifese, come lo è stata lei».
L’incontro si scioglie, tutti tornano a passeggiare per via Pretoria. Come avrebbe dovuto fare Elisa 28 anni fa. E le coltellate che l’hanno uccisa sanguinano ancora.

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