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Renato Martorano

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POTENZA – Sono 38 le persone arrestate questa mattina nell’ambito dell’ultima inchiesta della Polizia di Stato, coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia della Procura della Repubblica di Potenza, sulle attività del clan “Martorano-Stefanutti” di Potenza, e le sue estensioni anche sul territorio di Matera.

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In una nota diffusa dalla Questura si evidenzia che le accuse vanno dall’associazione per delinquere di stampo mafioso, all’associazione finalizzata al traffico e spaccio di sostanze stupefacenti, passando per una serie di “delitti scopo”, aggravati dall’agevolazione e dal metodo mafioso. L’operazione è stata denominata “Lucania Felix”.

Tra gli arrestati c’è anche il boss Renato Martorano (64), tornato in libertà a giugno del 2019 dopo 11 anni di detenzione per le accuse di usura ed estorsione aggravate dal metodo mafioso.

Clan riconosciuto dalla ‘ndrangheta

Il clan potentino guidato da Renato Martorano e Dorino Stefanutti è ormai «ampiamente riconosciuto dalla ‘ndrangheta calabrese e dai clan mafiosi lucani, siciliani e pugliesi»: è la conclusione della Direzione distrettuale antimafia di Potenza, che ha chiesto e ottenuto dal gip gli arresti.

Gli indagati in carcere e ai domiciliari sono accusati, a vario titolo, di associazione per delinquere finalizzata al traffico e allo spaccio di droga, estorsioni, detenzione e porto illegale e di armi da fuoco e danneggiamento seguito da incendio, aggravati dall’agevolazione e dal metodo mafioso. Oltre agli arresti, la Polizia ha notificato un divieto di dimora nella provincia di Potenza e ha eseguito sette perquisizioni domiciliari e personali.

Dall’inchiesta sono emersi collegamenti con le cosche calabresi dei Pesce-Bellocco e Grande Aracri, con il clan catanese dei Santapaola e con gruppi criminali pugliesi e lucani. La Procura antimafia di Potenza ritiene di aver scoperto anche «una fitta rete di contiguità e connivenze insinuatasi persone nelle sfere istituzionali», oltre alla tipica attività di «mutua assistenza» a favore dei detenuti. Infatti, durante la sua detenzione nel carcere di Melfi (Potenza) Stefanutti avrebbe ricevuto «costante assistenza materiale» mentre «impartiva specifiche direttive verso l’esterno, anche attraverso la consegna di “pizzini”».

Il sindacalista “braccio armato”

Tra gli arrestati nell’operazione c’è anche un rappresentante sindacale, Rocco Della Luna della Uil. In una conferenza stampa nel Palazzo della Giustizia del capoluogo lucano, il Procuratore distrettuale, Francesco Curcio, ha evidenziato che Della Luna (che ora si trova ai domiciliari) era «il braccio armato» del clan Martorano-Stefanutti nella gestione «addomesticata» dei dipendenti della società “Kuadra”, che in passato è stata affidataria dei servizi di pulizia presso l’ospedale San Carlo di Potenza, il più importante della regione.

La segreteria nazionale della UilTucs ha sospeso dall’incarico e da ogni funzione sindacale il dirigente Della Luna. Lo ha reso noto la segreteria regionale della Uil Basilicata ribadendo piena fiducia nel lavoro della magistratura.

Interessi in economia e appalti

Installazione e gestione di apparecchiature videopoker, servizi di sicurezza nelle discoteche o in locali di intrattenimento, appalti ospedalieri, spaccio di sostanze stupefacenti. Questi i filoni di indagini dell’inchiesta della Dda di Potenza che ha fatto luce sulla «capillare compenetrazione del sodalizio potentino nel tessuto economico ed imprenditoriale cittadino». Un monopolio in alcuni settori che veniva perseguito anche con azioni intimidatorie. Nelle carte dell’inchiesta compare un episodio, avvenuto a marzo, quando sono stati esplosi quattro colpi di arma da fuoco contro l’abitazione di un imprenditore di Palomonte in provincia di Salerno.

Dalle indagini è emersa «la spiccata capacità di infiltrarsi nella gestione diretta o indiretta di appalti di opere e servizi pubblici attraverso una fitta rete di contiguità e connivenze insinuatasi persino nelle sfere istituzionali».

Rilevante, in tal senso, il controllo di fatto sui servizi di pulizia presso l’ospedale San Carlo di Potenza e un’azione estorsiva perpetrata ai danni di una società affidataria di servizi di raccolta e smaltimento rifiuti presso lo stesso ospedale (per questo secondo filone c’è già una condanna penale in via definitiva).

La realtà mafiosa della Basilicata

Secondo gli inquirenti, in Basilicata «la presenza criminale, a base marcatamente mafiosa, rappresenta una realtà ormai innegabile che investe, in egual misura, le province di Potenza e Matera».

La Direzione distrettuale antimafia di Potenza lo ha evidenziato valutando le conclusioni dell’inchiesta, rilevando che la «consorteria potentina» è «ampiamente riconosciuta dalla ‘ndrangheta calabrese e dai clan mafiosi lucani, siciliani e pugliesi», la Dda ha parlato di «capillare compenetrazione del sodalizio potentino nel tessuto economico ed imprenditoriale cittadino, perseguita anche attraverso il reiterato ricorso ad eclatanti azioni intimidatorie».

In sostanza, le indagini della Polizia hanno consentito di «tracciare il solco di un nuovo corso criminale attivo nella città di Potenza», entrato fino «nelle sfere istituzionali, come nel caso di una sigla sindacale attiva nel comparto sanitario».

In totale gli indagati sono una sessantina: le indagini hanno preso in esame gli ultimi 15 anni di attività criminale a Potenza e in altre zone della Basilicata. Alla conferenza stampa ha partecipato anche il prefetto Francesco Messina, Direttore centrale anticrimine della Polizia, il quale ha sottolineato che «in Italia non ci sono aree libere da sodalizi. I legami tra queste organizzazioni – ha aggiunto – sono maturate durante le detenzioni e questo deve far riflettere».

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