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POTENZA – Avvocati alla ricerca di “gole profonde”, anche tra i propri clienti, per veicolare «informazioni personali e riservate» sul conto dell’ex capo del Dipartimento amministrazione penitenziaria Francesco Basentini ai microfoni di La7.

È questo il contenuto dell’esposto indirizzato nei giorni scorsi da Basentini al Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Potenza. Un contrattacco in piena regola dopo un mese in cui dallo studio della trasmissione di Massimo Giletti, “Non è l’arena”, si sono susseguite accuse e insinuazioni nei suoi confronti.

L’ex pm potentino, finito al centro delle polemiche (e dimessosi dall’incarico al Dap) per la scarcerazione di alcuni detenuti eccellenti a causa dell’emergenza covid, ha rotto gli indugi dopo gli ultimi servizi trasmessi dalla trasmissione di Giletti. Servizi che hanno abbandonato la ricostruzione di quanto avvenuto nei tribunali di sorveglianza di mezza Italia, per prenderlo di mira anche a livello personale e familiare. Con tanto di inseguimento telecamera in spalla prima alla moglie, improvvisamente oggetto di interesse per la parentela del padre con un collaboratore di giustizia, e poi al padre, a cui è stato chiesto conto, tra l’altro, di un debito mai saldato con una ex collaboratrice della sua agenzia di assicurazione.

Stando a quanto segnala Basentini all’Ordine degli avvocati, proprio un legale potentino sarebbe stato tra gli ispiratori della campagna giornalistica, diretta a contestare al ministro della Giustizia Alfonso Bonafede la scelta mettere lui alla guida del Dap in luogo dell’ex pm palermitano Nino Di Matteo.

L’ex procuratore aggiunto del capoluogo lucano, che nelle prossime settimane dovrebbe prendere servizio in una nuova sede giudiziaria, lo indica per nome e cognome nell’ex consigliere regionale Alessandro Singetta. Lo stesso Singetta che in un’intervista trasmessa a “Non è l’arena” il 31 maggio ha denunciato di aver ricevuto minacce da suo padre, perchè negli anni ‘90 assisteva una banca interessata a recuperare un credito nei suoi confronti di oltre un milione di euro. Quindi ha insinuato un legame tra questo e le accuse che gli sono state mosse dal figlio, nel 2013, nell’ambito dell’inchiesta sui rimborsi pazzi del parlamentino lucano.

Il rilievo disciplinare, tuttavia, non riguarda queste dichiarazioni, ma quanto sarebbe stato riferito a Basentini da due cittadini, tra i quali un «cliente» dello studio Singetta, che sostengono di essere stati contattati da quest’ultimo e da un suo collega per sondare la loro disponibilità a parlare del magistrato in tv. Una condotta che l’ex pm considera anche alla stregua di un abuso del rapporto fiduciario tra avvocato e cliente, per fini che non hanno nulla a che vedere con l’interesse dell’assistito.
Qualche che sia l’esito dell’esposto, la mossa di Basentini è destinata senz’altro a segnare uno spartiacque nel “caso”, che nei conciliaboli all’interno del palazzo di giustizia di Potenza ha oscurato persino le trame emerse dalle intercettazioni dell’ex capo dell’Anm Luca Palamara.

A Roma, intanto, sono proseguite anche ieri le audizioni in Commissione antimafia sul tema delle scarcerazioni.

Di fronte a deputati e senatori si è seduta il direttore dell’Alta sicurezza del Dap, Caterina Malagoli, che ha spiegato di non aver condiviso la stesura della nota del 21 marzo, che secondo alcuni avrebbe dato il “la” alle scarcerazioni.

Malagoli ha aggiunto di aver subito espresso la sua contrarietà, non appena ne è stata informata, per il rischio che ne beneficiassero i detenuti più pericolosi. Quindi ha dichiarato di aver esposto quelle rimostranze a Basentini, che a suo avviso non ne avrebbe inteso il senso. Come pure al direttore generale Detenuti, Giulio Romano (dimissionario ma tuttora provvisoriamente al suo posto), che le avrebbe lasciato intendere di un’avvenuta condivisione della nota non solo con Basentini ma anche coi vertici del ministero della Giustizia.

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