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Il termovalorizzatore di Melfi

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POTENZA – No all’incremento del 10% dei rifiuti che il termovalorizzatore ex Fenice di San Nicola di Melfi è autorizzato a trattare, senza una nuova valutazione sulle emissioni prodotte.

E’ quanto deciso nei giorni scorsi dal Tar Basilicata sul ricorso dell’attuale proprietaria dell’impianto, Rendina Ambiente srl, contro una nota con cui la Regione Basilicata, nel 2015, aveva stoppato il progetto di «modificazione della linea “forno a griglia”», che è quella dove vengono inceneriti rifiuti urbani e assimilabili provenienti da diversi centri lucani.

Il collegio presieduto da Fabio Donadono (consiglieri Pasquale Mastrantuono e Benedetto Nappi) è tornato sulla vicenda 6 anni dopo l’ordinanza con cui era stata chiesta una relazione sul caso al Ministero dell’Ambiente. L’originaria autorizzazione dell’impianto, infatti, era stata concessa nel 1993, prima della devoluzione alle regioni di questo tipo di competenze, che è quando la costruzione del termovalorizzatore è stata ultimata, come accessorio dell’attiguo stabilimento Fiat (ora Stellantis, ndr).

La relazione dei tecnici del dicastero di via Cristoforo Colombo, a Roma, è stata depositata, dopo due distinti solleciti, ad aprile del 2016.

Al suo interno dal Ministero hanno evidenziato che nell’autorizzazione in questione: «la compatibilità ambientale dell’impianto è stata valutata nell’assetto operativo che prevede una quantità di rifiuti da trattare nel forno a griglia pari a 30.000 tonnellate annue, e che non è stata pertanto valutata nell’assetto operativo “a saturazione del carico termico” in quanto tale assetto prevede una quantità di rifiuti da trattare nel forno a griglia pari a 39.000 tonnellate annue, diversa dalla capacità di trattamento annuo oggetto delle valutazioni effettuate».

Dal momento che l’istanza presentata nel 2015 puntava proprio a ottenere un incremento della capacità di trattamento del forno a griglia da 30.000 a 39.000 tonnellate, quindi, dal Ministero hanno detto di concordare sulle obiezioni della Regione Basilicata. Perché sarebbe assente un’idonea valutazione della compatibilità ambientale del funzionamento dell’impianto al nuovo regime, specie per quanto riguarda la «componente “qualità dell’aria”».

Né è possibile immaginarsi che autorizzando il trattamento di 30mila tonnellate annue, nel 1993, sia stata implicitamente valutata positivamente anche la possibilità di trattarne quasi un terzo in più.

Se Rendina Ambiente deciderà di insistere nel suo progetto, quindi, dovrà seguire le complesse procedure per un’autorizzazione nuova di zecca. Senza le scorciatoie per le varianti: «determinate da esigenze tecnico-funzionali e che non comportano variazioni ed incrementi superiori al 10% dei parametri tecnici del progetto approvato». Questo il verdetto del Tar. Su cui nei prossimi giorni la società potrebbe comunque proporre ricorso al Consiglio di Stato.

Oltre alle 30mila tonnellate di rifiuti urbani, l’ex Fenice è già autorizzata anche al trattamento di 35mila tonnellate annue di rifiuti speciali, parte di quali provenienti proprio dalla zona industriale di Melfi.

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