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DOPO il tifone che ha spazzato via il 4 marzo mezzo secolo di certezze del centrosinistra in Basilicata, questo avanspettacolo sulla data delle elezioni regionali potrà mai consentire una rimonta, a oggi ritenuta improbabile dai sondaggi? C’è davvero qualcuno dentro il Pd lucano che pensa di potercela fare, di conservare il castello di potere pieno di crepe, anche dopo lo scandalo della sanità e degli arresti domiciliari al presidente della giunta regionale, Marcello Pittella? La mossa più assurda, sul piano del consenso e della riconquista della fiducia degli elettori, era quella di puntare sul voto a maggio. Puntuale è stata fatta, una cosa da Tafazzi che fa il paio con la scelta suicida di Renzi di trasformare il referendum sulla riforma costituzionale in un plebiscito sulla sua persona e il suo governo.

Lo spettacolo di questi giorni è ingiusto nei confronti dei lucani, una rappresentazione che lascia allibiti. Ma davvero il 4 marzo non ha insegnato nulla? Franconi, Polese e il resto hanno inanellato una serie di mosse che sembrano, per paradosso, studiate per portare legna al forno dei populisti. Proprio il contrario di quello che andava fatto. Anche perché tutti hanno capito perché un partito, in crisi e in affanno, ha deciso di inerpicarsi su questa strada piena di rischi e insidie.

La vicenda del presidente Pittella pesa eccome su questa scelta scellerata. E’ chiaro: un verdetto favorevole della Cassazione atteso per i prossimi giorni, potrebbe rimetterlo in gioco e consentirgli di giocare la sua partita e di tornare a testa alta nell’agone politico. E’ umano, legittimo, comprensibile. Uno che ha vissuto per mesi e mesi agli arresti domiciliari e che tutt’ora ha l’obbligo di star lontano da Potenza, avrebbe mille motivi – in caso di sentenza benigna ­– di recuperare il tempo perduto e riprendersi quello che un’inchiesta giudiziaria gli ha tolto in maniera ingiusta. E si capisce anche perché il Pd abbia fretta (anche se non tutti sono d’accordo) di rimettere in campo il suo candidato di punta, quello che garantirebbe – secondo alcuni – più possibilità di vittoria. Il guaio è che la cosa è stata percepita dall’opinione pubblica lucana in un altro modo, sintetizzata in un concetto di facile presa da parte del Movimento Cinque Stelle: “Pittella mantiene in ostaggio la Basilicata”. Sarà anche una frase senza fondamento, ma smontarla in questi tempi di tam tam ultraveloci, di convinzioni assorbite con un click o con una percezione frettolosa e emotiva della realtà, è davvero un’impresa ardua anche per i guru e gli strizzacervelli più ascoltati. Ma questi sono affari di un partito.

Quello che riguarda tutti noi sono altre cose. La prima: il 19 gennaio prossimo tutta l’Europa guarderà a Matera. Nell’ipotesi migliore potrebbe esserci a celebrare uno dei discorsi ufficiali, per un evento senza precedenti per la Basilicata, Marcello Pittella, sempre che superi indenne il giudizio della Cassazione. Nell’altra la sua vice, Flavia Franconi. Nell’uno o nell’altro caso, chi racconterà a livello mondiale l’inaugurazione dell’anno della capitale della cultura, non potrà esimersi da dire due parole sui relatori istituzionali lucani, su cosa è accaduto negli ultimi mesi. Non sarà un passaggio privo di imbarazzo. Non era meglio per tutti, arrivare a quel giorno con un nuovo governo regionale, con un presidente legittimato dal voto? Matera 2019 meritava più rispetto e l’esibizione di una classe politica all’altezza di una vetrina così prestigiosa.

La seconda questione: quasi sette mesi di gestione in più di un consiglio regionale, già acciaccato da inchieste, con molti componenti al centro di accuse penali non compatibili con il ruolo di pubblici amministratori. Un’assemblea che ha messo insieme in questi anni il record italiano di leggi impugnate davanti alla Corte Costituzionale per la violazione o la riduzione dei diritti dei cittadini. Con il voto di marzo i lucani hanno lanciato un messaggio preciso: non ne possono più di vecchi arnesi delle clientele, delle promesse, delle scelte fatte a vantaggio di cricche e caste, di concorsi truccati e favoritismi. Invece di mandarli a casa subito e di riaprire le porte a facce e teste nuove, allunghiamo la permanenza di persone che, con le dovute eccezioni, hanno poco o nulla da dare ancora. Rappresentanti di un modo vecchio e superato, non più in sintonia (se non quella dello scambio di favori) con le sensibilità, le esigenze, le aspettative dell’elettorato. Chi crede che la Basilicata sia un’isola diversa, vada a rivedersi i dati delle elezioni di marzo.

Il colpo di mano sulla nomina dei direttori generali della sanità è la dimostrazione di cosa ci aspetta da qui al 26 maggio. Una sortita dietro l’altra per guadagnare consensi, per ribadire una concezione della politica che poteva andare bene all’epoca di Colombo, non oggi. Sarà una lunga, estenuante, assurda campagna elettorale. Fatta di forzature e sotterfugi, di espedienti e esasperazioni. Da una parte Pd e alleati pronti a utilizzare la Regione per risalire nella classifica delle preferenze. A mettere mano a fondi, bandi, graduatorie, nomine. Dall’altra chi, per interessi opposti, tenderà a strumentalizzare ogni cosa. Anche gli atti di normale amministrazione. Un altro teatrino di cui avremmo fatto volentieri a meno, visti i guai e i problemi da affrontare. Un teatrino che costerà alla collettività circa 4 milioni di euro. Senza contare che sei/sette mesi in più di indennità ai consiglieri saranno duri da far digerire agli elettori. Tanta benzina per i populisti e non solo. Forse si poteva fare di meglio. Forse si doveva pensare più alla Basilicata che alle sorti e al destino personale di certi signorotti. Ma bisognava avere la mente sgombra da condizionamenti, essere donne e uomini liberi, con la voglia di guardare al futuro e non difendere a tutti i costi il presente, soprattutto quando c’è davvero poco da salvare.

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