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Tiri e i suoi panettoni durante una recente visita in Giappone

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Si definisce «artigiano» nonostante i premi accumulati: il frutto di 12 anni di ricerche e studi in pasticceria. Dall’azienda di famiglia, prossima ai 60 anni, al successo in Giappone. «Premio chi viene a fare due ore di fila dalle 5 di mattina»

POTENZA – Il lievito madre di Acerenza vola in Giappone e diventa un soffice panettone. È proprio una poesia la storia di Vincenzo Tiri, il pasticciere che colleziona menzioni nelle riviste di settore e premi — l’ultimo qualche giorno fa, quando per il secondo anno consecutivo il 34enne («artigiano», come ama definirsi) ha visto incoronare il suo panettone con il titolo di migliore d’Italia.

«Ma già prima di ricevere questi premi, grazie al passaparola ho registrato in pasticceria arrivi in costante aumento», racconta Tiri. «Ricordo di recente, nel periodo natalizio, una fila incredibile all’orario di apertura: ero stato da poco citato in uno dei siti più seguiti del settore, Dissapore.com, e notai che in seguito a quella segnalazione arrivarono appassionati da tutta Italia. Tantissimi da Roma».

Partiamo proprio dalla fila: la sua storia è originale anche in questo, visto che i suoi panettoni sono introvabili fuori Acerenza. L’immagine della fila davanti al negozio, oltre ad essere davvero sentimentale, oggi è quasi inconcepibile se si eccettuano i saldi o il lancio di nuovi iPhone nei megastore…

«I miei panettoni introvabili? Da me li trovate sempre (sorride)… Diciamo che io preferisco dare la precedenza a chi si piazza davanti al negozio alle 5 e mezza di mattina e magari arriva ad aspettare anche un paio d’ore. Premio in un certo senso il loro sacrificio rispetto alla facilità con cui si può fare un freddo ordine via computer. E poi penso che la fila sia anche un momento di aggregazione e socialità».

Ha mai fatto un calcolo medio della gente che si mette in attesa per gustare uno dei 10 gusti dei suoi panettoni?

«In media sono una settantina di persone al giorno. E naturalmente nel periodo natalizio c’è il boom di presenze».

Da dove arriva il suo cliente tipo?

«Beh, non esiste un cliente tipo. C’è il mio concittadino, il lucano ma sono tantissimi quelli che arrivano dalla Campania, dalla Puglia e dalla Calabria, nell’ordine. Vengono apposta qui, e anche per Acerenza è una piccola grande soddisfazione».

Quasi un fenomeno turistico a parte. Sappiamo che sui numeri della sua produzione mantiene uno strettissimo “top secret”, ma già così ci si può fare un’idea. È difficile far combaciare la richiesta di panettoni coi tempi slow della lavorazione?

«Di sicuro ci sono sempre più ordini e il panettone lo vendiamo tutto l’anno – a proposito, in estate consiglio di abbinarlo con del gelato – ma la produzione è limitata, bisogna farsi bene i conti. Quel che è certo è che la mia ricetta non è replicabile industrialmente. Nel senso che è proprio impossibile».

Perché?

«Perché si impiegano 72 ore di lavorazione, cioè il triplo del tempo che ci si mette a livello industriale, ovvero un giorno. E poi io utilizzo tre impasti, mentre la scuola milanese ne prevede due».

Qual è la differenza e che ricadute ci sono sul prodotto?

«La conseguenza dei tre impasti è che il panettone è più soffice e il gusto dura ancora più a lungo. Ma questa è la nostra forza ed è anche il motivo per cui non abbiamo numeri da industria né vogliamo averli, visto che restiamo convinti del nostro prodotto fresco di pasticceria. Io faccio ricerca da dodici anni, studio sul metodo di lavorazione e sugli ingredienti, e continuerò sempre a farlo perché si può, anzi si deve sempre migliorare».

Ci dica tre motivi per cui secondo lei il panettone Tiri 1957 è il migliore d’Italia.

«Anzitutto non utilizziamo conservanti e aromi. Poi, ripeto, i tempi di lavorazione. Un altro segreto è che i canditi che farciscono il nostro panettone sono tutti prodotti da noi con materie prime della Basilicata: se infatti siamo obbligati a usare la vaniglia del Madagascar, che è la migliore sul mercato, nella frutta abbiamo un’ampia possibilità di scelta a chilometro zero e ad altissima qualità: penso all’arancia “Staccia” di Tursi o alle albicocche del Metapontino».

Una scelta, anche questa, che conferma il suo legame con il territorio, nonostante i suoi viaggi, le sue consulenze e le iniziative in tutto il mondo, Giappone compreso.

«Sì, l’amore e l’attaccamento alla mia terra è il motivo per cui mi ha riempito d’orgoglio aver ricevuto una targa dal presidente della Regione Basilicata. È stata un’occasione ulteriore per sentire il calore del popolo lucano, e per me questo è davvero un premio in più».

Torniamo al Giappone, dove il suo panettone è venduto in ben 260 attività commerciali: come nasce il collegamento tra un piccolo centro del Potentino e una delle economie più sconfinate del mondo?

«Bisogna dire che l’azienda con cui sono in contatto, la Donq, produce panettoni da trent’anni. Impararono da un consulente milanese che creò questo canale, e da allora i giapponesi commercializzano tutto l’anno. Di recente sono venuti in Italia con un vero e proprio maestro giapponese della materia, una figura che lì è quasi venerata. Bene, nel loro tour per le migliori pasticcerie d’Italia hanno deciso di non seguire né le segnalazioni delle pubblicazioni di settore né i premi: sono andati letteralmente alla ricerca del gusto più vicino alle loro abitudini e al loro palato. Qui hanno trovato la risposta, ma io per il mercato giapponese ho pensato a una ricetta ancora più soffice e morbida. Soprattutto, utilizzo il lievito madre di Acerenza e le materie prime lucane perché anche a migliaia di chilometri di distanza l’anima del prodotto non si deve mai snaturare».

Qual è la richiesta ricevuta da più lontano?

«Beh credo che più lontano del Giappone…».

E il personaggio famoso che lei non si aspettava si sarebbe innamorato tanto del suo panettone?

«Indubbiamente quello che mi ha fatto più piacere è stato Gualtiero Marchesi, il maestro dei maestri degli chef italiani: ci siamo conosciuti a GazzaGolosa (la manifestazione dedicata all’enogastronomia organizzata dalla Gazzetta dello Sport che ha premiato Tiri, ndr) e da lì è nato un rapporto bellissimo di stima e amicizia. Il suo giudizio per me vale doppio, è un grandissimo riconoscimento e paga tutti questi anni di studio e ricerca. E oggi (ieri, ndr) mi ha fatto molto piacere vedere proprio sul Quotidiano la foto scattata l’anno scorso a Milano con il maestro Marchesi».

La sua è anche la storia di un giovane lucano che non ha abbandonato la propria terra d’origine, decidendo al contrario di restare nell’azienda di famiglia per farla crescere sempre più e renderla in un certo senso internazionale.

«Forse la mia storia dimostra che è possibile rimanere in Basilicata valorizzando il proprio talento e la propria passione, puntando su quanto di buono esiste già. E non è poco».

L’anno prossimo la pasticceria Tiri spegnerà 60 candeline: ha pensato a un panettone particolare per celebrare al meglio i festeggiamenti?

«Senza dubbio faremo qualcosa di speciale per l’occasione, ma non posso anticiparla…».

Cosa pensa la sua famiglia della nuova immagine impressa alla pasticceria e dei riflettori perennemente puntati?

«Devo dire che i miei genitori sono contentissimi, la nostra vita negli ultimi anni è cambiata».

Come fa a dividersi tra la Basilicata più profonda e l’orizzonte planetario incarnato dal Giappone, girando nel frattempo per tutto lo Stivale?

«Devo ammettere che gestire la mia vita è diventato abbastanza difficile… Penso che ci vorrebbe un giorno da 72 ore. Sì, lo stesso tempo che ci metto a preparare il mio panettone!».

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