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Antonio Candela

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Intervista ad Antonio Candela, ex studente Unibas che ha deciso di rimanere. Una scelta oggi ampiamente ripagata. «Il perché? Stiamo diventando sempre più attrattivi»

POTENZA – Un tesoro di bellezza e conoscenza potrà invertire la rotta degli studenti universitari in fuga dagli atenei lucani – ben 3 su 4, secondo un dossier diffuso di recente dal sito Skuola.net – e addirittura richiamarne altri da fuori regione. Ne è sicuro Antonio Candela, ex studente dell’Unibas che dopo gli studi a Potenza ha creato Comincenter, startup che sta avendo anche riconoscimenti internazionali: nell’ex casa cantoniera delle Fal a Matera un gruppo di ragazzi si costruisce il futuro, formando under 35 che, nell’84% dei casi, entro 2 mesi trovano un lavoro. L’idea di Antonio – che ha anche una sua casa editrice, la UniversoSud – è aprire quanto prima anche nel capoluogo. Per una storia come la sua, però, ce ne sono altre decine che raccontano di giovani emigranti del terzo millennio.

 Cosa pensa del record negativo di emigrazione universitaria segnalato da Skuola.net?

 «È un dato secondo me legato a due fattori: l’impossibilità di un’offerta didattica omnicomprensiva e la scarsa offerta di Potenza in termini di servizi e connessione tra la città e l’ateneo. Sul primo punto dico che si tratta forse di categorie passate, il mercato del lavoro cambia e nuove figure professionali s’impongono, penso al digitale. Se da un lato è vero che Medicina potrebbe aprire sbocchi, tra due grosse Aziende ospedaliere e poli di eccellenza come il Crob, forse Giurisprudenza potrebbe rivelarsi solo un esamificio che crea disoccupati. La vera sfida è la cosiddetta “quarta missione”: connettere università e imprenditoria, “incubare” come si dice, oltre che formare. Il futuro è questo e anche il Miur si muove in questa direzione».

 C’è uno spiraglio?

 «Sì. Mi piace ricordare che, nonostante quelle criticità, l’università in Basilicata vanta un 20% di attrattività di studenti non lucani, dato in controtendenza rispetto al resto del Sud».

 Dal suo triplice osservatorio – Conunibas, Extra associazione ex studenti Unibas e Unibastore – lei tasta da anni il polso del dinamismo di un ateneo che presenta delle eccellenze: cosa direbbe a un non lucano per invogliarlo a studiare all’Unibas?

 «Che qui può scegliere fra 3 asset: lo studio dei terremoti, con la Basilicata capofila, da ultimo, in progetti come Io non rischio; poi il settore food-turismo e soprattutto i beni culturali, legati ad architettura e a Matera, lì dove quei numeri di attrattività crescono in modo esponenziale».

Beni culturali e architettura a Matera ma anche lo studio dei terremoti a Potenza fanno dell’Unibas un’eccellenza nel Sud, che infatti attrae il 20% di iscritti da fuori regione

 Pensa che i trasporti penalizzino la scarsa “immigrazione” universitaria? Se sì, il Frecciarossa potrà aprire nuovi scenari come da qualcuno ipotizzato?

 «Le infrastrutture davvero importanti sono il cablaggio, la banda ultralarga, la fibra ottica… Penso che il Frecciarossa sia un palliativo. Soprattutto se non esiste un adeguato collegamento Potenza-Matera. Nel tempo in cui lo spazio non esiste, la differenza la fa la gestione del tempo, e questo, se si parla di innovazione, è un aspetto decisivo».

 Quali corsi di laurea e facoltà tra quelli attualmente assenti in Unibas vorrebbe vedere avviati un domani più o meno prossimo?

 «A mio figlio consiglierei il settore umanistico: accanto a chi progetta le piattaforme, c’è chi deve riempirle di contenuti. E poi torno a dire che dobbiamo superare le vecchie categorie: si può essere “smart” anche in periferia, visto che le periferie non esistono se si parla di valore aggiunto. La piccola Basilicata può competere in innovazione con le grandi città italiane o le metropoli europee».

 Cosa si sente di dire ai lucani che hanno deciso di fare crescere la propria regione studiando tra le mura di casa?

 «Che capisco quando è una scelta e non un obbligo. E poi non dimentichiamo che si può sempre tornare…».

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