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Loredana Labriola con il figlio Francesco Miglionico mentre porta la torcia paralimpica

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Lo sfogo di Loredana Labriola: «I primi problemi con la scelta dell’asilo. In caso di terremoto morirebbe sotto le macerie. Le eccellenze? Il liceo classico di Potenza e la collaborazione coi neuropsichiatri a Matera»

POTENZA – «Orgogliosamente». La voce trema ma trova la forza per sottolinearlo, Loredana Labriola: a 43 anni combatte per rivendicare i diritti che le spettano e che spettano al figlio. Loredana è «orgogliosamente mamma di Francesco Miglionico, ragazzo speciale» (LEGGI L’ARTICOLO DELLA TARGA CONSEGNATAGLI IN REGIONE DOPO LE GARE DI TIRO CON L’ARCO IN LOMBARDIA). Francesco frequenta la terza media a Potenza ed è affetto da paraplegia spastica degenerativa del terzo tipo: «Significa che la sua patologia non si arresta, va avanti – racconta –. E per ora si trova bloccato su una sedia a rotelle, domani non lo sappiamo. Nessuno può dare garanzie sulla patologia di Francesco».

«La ruota gira e con l’età tutti diventiamo invalidi. Solo allora si potrà capire cosa significa prendere in braccio un ragazzino di 13 anni, un bellissimo ragazzo, e spostarlo dalla carrozzina, caricarselo in spalla e fargli scendere le scale»

 La donna, con lo stesso orgoglio e la stessa rabbia, annuncia che il mese prossimo – di ritorno dall’ennesima visita specialistica cui Francesco si dovrà sottoporre a Bologna – andrà in Procura e al Tribunale dei minori per denunciare e sensibilizzare: l’obiettivo è smuovere le coscienze nella speranza che «tutte le strutture scolastiche siano rese accessibili e adeguate, dalla scuola dell’infanzia alle superiori, e i dirigenti scolastici siano obbligati ad accogliere nei loro istituti i ragazzi diversamente abili».

 Vuole raccontarci la sua storia di madre di un bimbo, oggi ragazzo disabile alle prese con le difficoltà quotidiane e la priorità di assicurare a suo figlio il diritto all’istruzione?

 «Le difficoltà della mamma di un ragazzo speciale sono tante. Anzitutto nella scelta della scuola, perché già dalla materna individuarne una che rispetti queste difficoltà non è stato facile: il girare per Potenza a cercare un asilo che lo accetti, la stessa cosa per la scuola elementare. L’unica che  lo ha accettato è stata quella di via Tirreno: la Don Lorenzo Milani: esternamente bella, ma all’interno . un obbrobrio. Barriere architettoniche viventi. Mentre altre scuole, da quella di via Verdi ad altre in città, hanno un minimo di adattamento».

 Che significa per lei «barriere da superare?»

 «Significa che io devo prendere in braccio Francesco per poterlo spostare da un piano all’altro. Già dalla quinta elementare, purtroppo, mio figlio si è ritrovato con la sedia a rotelle. Le assicuro che non è facile spostarlo sulla sedia a rotelle. È difficile, difficilissimo. Ho parlato con tutti i politici di questo mondo…».

 Cosa hanno fatto per cercare di dare una risposta al caso di Francesco?

 «Hanno fatto passerella. Quattro mesi fa c’è stato un incontro con la preside, l’assessore comunale Falotico e il Garante per l’Infanzia. L’assessore aveva promesso che avrebbe fatto qualcosa: due giorni dopo è venuto a vedere la scuola ma poi più nulla, non ha mantenuto un centesimo di quanto promesso. Sono andata pure a parlare di nuovo con il Garante. A 4 mesi da quell’incontro io mi ritrovo al punto di prima».

 Cioè?

 «Devo prendere Francesco e portarlo a braccio giù in palestra. Sì, perché senza l’aiuto dei professori non potrebbe accedere neanche in palestra. E se dovesse esserci un terremoto, chi me lo porterebbe fuori dalla scuola? Francesco morirebbe sotto le macerie».

«Devo prendere Francesco e portarlo a braccio giù in palestra. Sì, perché senza l’aiuto dei professori non potrebbe accedere neanche in palestra»

 Quali sono le difficoltà più insormontabili, non solo logistiche, che continua a incontrare?

 «Ora mio figlio frequenta una classe al piano terra, quindi percorribile in sedia a rotelle. Ma per far capire a tutti che i problemi vanno ben oltre, vorrei raccontare un episodio recente: durante l’open day della scuola, che si dovevano tenere al piano sottostante, i professori – per adattarsi alla situazione di Francesco – hanno vissuto il disagio enorme di dover trasferire tutto il materiale al piano superiore. In tutto questo, si sarebbe potuto utilizzare un ascensore che invece sta fermo lì ed è diventato deposito di cartoni».

  Di chi sono secondo lei le responsabilità di piccoli e grandi disagi come quelli che lei denuncia?

 «Le rispondo senza paura: dei politici. Di quelle persone che ci conoscono molto bene quando hanno bisogno dei voti, ci vengono a trovare persino dentro casa. Quando invece siamo noi a dover bussare, metaforicamente, alle loro porte, ecco che spariscono. Le colpe sono dell’amministrazione comunale: quando a un politico viene segnalato un problema, deve alzarsi dalla poltrona e andare a verificare, per poi dare delle risposte. Quelle che finora io non ho avuto. In un recente incontro su turismo e disabilità, il sottosegretario De Filippo ha detto che “chi vuole può”, riferendosi agli interventi da fare».

 Da quasi un anno si parla di “deportazione” di insegnanti lontani dalle loro terre d’origine, e il caso riguarda anche i prof lucani: crede che in Basilicata ci sia bisogno di più insegnanti di sostegno?

 «Francesco sta studiando il nazismo e il fascismo, quella parola bruttissima, “deportati”, mi fa tornare alla mente la tragedia di chi fu sterminato: ricordo che qualcuna delle vittime in quei campi di sterminio era anche disabile e al solo pensiero rabbrividisco. Tornando alla domanda, sto cercando una scuola superiore per mio figlio: ho incontrato dirigenti scolastici che ammettono “lo mettiamo in una stanza 3X2 e quello che vuole fare fa”. Il problema è proprio trovare insegnanti di sostegno per i ragazzi disabili. Non parlo solo del numero, della quantità, ma anche della qualità della loro formazione e preparazione: certo che sarebbe bello poter avere i nostri insegnanti di sostegno prendersi cura dei nostri figli, ma persone formate all’incoraggiamento, alla vera inclusione scolastica. La Basilicata ha bisogno di professori capaci, che con cuore e con anima insegnino, includano e favoriscano lo sviluppo psicologico di questi ragazzi. È anche un problema di cattivo governo: questi ragazzi disabili si ritrovano purtroppo convogliati tutti in scuole-raccoglitore, magari adatte ad accoglierli dal punto di vista strutturale. Come si fa a parlare di inclusione? Io parlerei di disprezzo».

 C’è almeno un caso che l’ha colpita in positivo?

 «Certo: il liceo classico di Potenza. Una struttura vecchissima ma con abbattimento totale delle barriere architettoniche. È bellissimo, sono rimasta strabiliata. Altre scuole moderne rifiutano ragazzi disabili perché non hanno insegnanti di sostegno adeguati… Matera è mille volte più avanti: c’è collaborazione tra scuola e neuropsichiatria, gli insegnanti di sostegno seguono corsi di formazione in collaborazione con i neuropsichiatri. Perché qui non si fa?».

 Nei giorni scorsi a Potenza c’è stato l’ennesimo incontro sulla scuola, alla presenza di un sottosegretario e dei più alti livelli istituzionali oltre che del mondo della scuola: cosa si sente di chiedere ai rappresentanti politici?

 «Devono rendersi conto che non ci servono le loro passerelle, né le loro belle facce. Ci servono persone concrete che facciano gesti concreti. Io a Potenza non ci sono andata. Vorrei solo che qualcuno abbia il coraggio di dire come me che la ruota gira e con l’età tutti diventiamo invalidi. Solo allora si potrà capire cosa significa prendere in braccio un ragazzino di 13 anni, un bellissimo ragazzo, e spostarlo dalla carrozzina, caricarselo in spalla e fargli scendere le scale».

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