X
<
>

Al centro la produttrice Carolin Martino, presidente del Consorzio di tutela dell’Aglianico del Vulture, delegata regionale de Le Donne del Vino e membro dell’Agivi (Associazione giovani imprenditori vinicoli italiani)

Condividi:
7 minuti per la lettura

Un vulcano (il Vulture), un verso del venosino Orazio («nunc est bibendum»), un primato di Potenza sulla celebratissima Matera. E una generazione in rosa di trenta-quarantenni che si affaccia

POTENZA – «L’Aglianico è il Barolo del Sud»: era una formula (nemmeno tanto amata dai produttori, peraltro) ma con gli anni sta diventando realtà. Nella Basilicata del petrolio e dell’automotive le nuove generazioni tornano alla terra, spesso prendono le redini delle aziende di famiglia dopo gli studi fuori, puntando su territorio, qualità, marketing e – non ultimo – sul traino di Matera 2019.

 Ma se si parla di vino, per una volta sono Potenza e la sua provincia a primeggiare con il loro rosso, benché la città dei Sassi e il suo circondario esprimano una Doc in continua crescita.

 Per il vino lucano, a un crescente interesse su scala nazionale si aggiunge un rafforzamento dell’export, con i nuovi mercati – Usa e Regno Unito, Giappone e Australia, “Cindia” ovvero la sconfinata platea di Cina e India – ad ampliare un orizzonte già esteso.

 Intanto, l’ultima conferma: i grandi Aglianico erano i protagonisti assoluti il mese scorso al Vinitaly   in compagnia dei produttori, presentati da Ian D’Agata, direttore scientifico della Vinitaly International Academy, in «un viaggio lungo le pendici del vulcano a partire da Rionero e Barile per arrivare nelle terre più rosse di Maschito e Venosa», la città di Orazio con il suo «nunc est bibendum», non a caso claim dello stand lucano composto da 28 espositori che hanno richiamato oltre 4mila presenze.  

 LE MAGNIFICHE DIECI

 La chiamano già la carica dei trentenni. Pardon: delle trentenni. Ecco 10 storie di donne vulcaniche che in Basilicata significano vino, e che confermano ciò che Paola Mura ha raccontato pensasse Luigi Veronelli: le donne esperte di vino sono avvantaggiate avendo innata la cultura dei profumi…

 In Basilicata c’è chi ha fatto rinascere i vigneti impiantati decenni fa dai parenti, ci sono la divulgatrice e l’organizzatrice di eventi enoturistici, e ancora l’imprenditrice di terza generazione tornata all’azienda di famiglia dopo la laurea alla Luiss o quella che ha preferito la Lucania felix alla sua Toscana.

 Viene da Melfi, città federiciana nel cuore del Vulture, Sara Carbone, che vive a Pordenone mentre il fratello Luca segue l’azienda: «Siamo cresciuti tra vigneti e l’odore del mosto che fermentava – racconta –. Luca ed io avevamo un sogno: tornare a produrre il vino dalle uve di quei magnifici vigneti impiantati negli anni 70 dai nostri genitori. Beh, ci siamo riusciti e ne siamo orgogliosi».

 Un caso di emigrazione al contrario è invece quello di Cecilia Naldoni, che con il marito Fabrizio Piccin e i figli Andrea e Lorenzo nel 2004 ha lasciato, dopo vent’anni trascorsi a Montepulciano, le colline verdi del Senese per stabilirsi in quelle – a suo dire non meno accoglienti – di Venosa. In questo 2017, la loro creatura – Grifalco – taglia il traguardo dei dieci anni di attività in 7 ettari tra Forenza e Maschito, sempre nel Potentino.

 Un selfie tra i capanni con i vignerons dalla sapienza antica: Elena Fucci da Barile (toponimo che è tutto un programma nell’enclave arbereshe) celebra così – tra una menzione nelle guide di settore più prestigiose e i riconoscimenti internazionali – il suo super-premiato rosso “Titolo”. Un nome una garanzia.

 Viviana Malafarina, nata a Genova da mamma croata, nonno paterno di Siderno (Calabria), dirige la cantina Basilico – siamo sempre a Barile – che è di proprietà di un grosso marchio del centro-sud: con il “Basilisco” aggiorna la suggestione del celebre film di Lina Wertmüller, perché da queste parti il vino è anche racconto e arte. Letteratura, nel caso del romanzo di Gaetano Cappelli dal titolo wertmülleriano: “Storia controversa dell’inarrestabile fortuna del vino Aglianico nel mondo” (Marsilio 2010).

 Prima sommelier e poi imprenditrice del vino in un’azienda familiare arrivata alla terza generazione, Carolin Martino è anche presidente del Consorzio di tutela dell’Aglianico del Vulture, delegata regionale de Le Donne del Vino e membro dell’Agivi (Associazione giovani imprenditori vinicoli italiani). «Vent’anni fa, quando andavo in giro con la mia famiglia, parlare di Aglianico del Vulture era come cercare di raccontare “cose dell’altro mondo”», dice Martino, tornata a Rionero dopo la laurea a Roma in Economia e direzione delle imprese. Alla vigilia del decimo anno speso nel settore, racconta con orgoglio la crescita di un «vitigno complesso ma allo stesso tempo schietto…. Io lo definisco un vino paziente, perché per assaporarne ed apprezzarne al meglio le caratteristiche va bevuto con un po’ di anni di invecchiamento». Un must l’abbinamento con la carne, ma è da provare anche la versione spumantizzata: le bollicine sono l’ideale con dei dolci tipici a base di castagne.

 Sono giovani produttrici pure Emanuela Mastrodomenico (ultima esponente di viticoltori attivi da 5 generazioni tra Rapolla e Barile) ed Elisabetta Musto Carmelitano (da Maschito), ma ci sono anche divulgatrici come Antonietta Facciuto, delegata provinciale potentina Onav (Organizzazione nazionale assaggiatori di vino).

 Presidentessa del Movimento turismo del Vino, Filomena “Filena” Ruppi è una pugliese “naturalizzata lucana”: partendo dal successo di iniziative come “Cantine sotto le stelle” punta da anni su una formula di enoturismo che coniughi eventi di fruizione e divulgazione enogastronomica all’apertura di musei, palazzi storici e residenze, dalla casa di Giustino Fortunato (il meridionalista dello «sfasciume pendulo») a Rionero ad altri piccoli e grandi monumenti da dischiudere in occasioni eccezionali. Una versione più conviviale delle Giornate Fai – che da queste parti fanno puntualmente il pienone – ma con il vino a propiziare una giusta riscoperta di luoghi e personaggi.

 Erminia D’Angelo (l’azienda di famiglia è nata negli anni 30) l’8 marzo ha addirittura pubblicato un video su Youtube e social network per sfatare, numeri alla mano, i luoghi comuni su donne e vino.

 GIOVANI E DONNE CHE TORNANO ALLA TERRA

 In una regione che invecchia e si spopola (gli indici di natalità sono tra i più bassi d’Italia, come da ultimo ha certificato l’Istat), ci sono molte donne tra i giovani che rendono la Basilicata tra le regioni virtuose nel recente Rapporto Ismea Svimez sull’agricoltura del Mezzogiorno presentato nelle scorse settimane a Montecitorio: nella prima metà del 2016 l’occupazione giovanile in agricoltura è cresciuta del 12,9% al Sud, un punto e mezzo in più della media italiana. Dati che fanno ben sperare se incrociati con quelli dell’Osservatorio per l’imprenditorialità femminile di Unioncamere: nella crescita delle imprese femminili in Italia nel 2016, la Basilicata è seconda solo al Lazio: con 279 aziende in più rispetto al 2015 (+1,77%).

 L’assessorato regionale all’Agricoltura intanto ha raccolto  1500 domande di giovani che vogliono accedere ai 24 milioni messi in campo dal Piano di sviluppo rurale, e sono già le 183 nuove imprese agricole di under 40 beneficiari dei finanziamenti della prima finestra del Psr Basilicata.

 Non solo: la Regione ha da poco prodotto un Testo unico del vino. È un movimento corale pubblico-privato che continua a produrre frutti: nel 2016 in regione, sulla base dei dati Ismea, la vendemmia ha raggiunto i 160mila ettolitri (+7% rispetto al 2015).

 Le 500 aziende vitivinicole censite dall’Istat sul totale di oltre 50mila del settore agricolo fanno del comparto vino il quarto della regione, dopo quelli olivicolo, cerealicolo e ortofrutticolo. I numeri dell’assessore regionale Luca Braia vanno ancora più in profondità: «Con 5.196 ettari di superfici vitate, di cui 1.300 destinati alle Doc regionali e 4.000 aziende viticole, una produzione di 86mila ettolitri, il settore vitivinicolo lucano incide per il 2,6% sulla produzione agricola regionale e ha un valore stimato in oltre 23 milioni di euro e un trend di crescita positivo pari al 13,3%. Siamo una piccola regione – spiega Braia – che negli ultimi anni, anche grazie a un’efficace attività di accompagnamento, ha avuto il riconoscimento delle denominazioni di origine con ben 6 marchi di qualità».

 Accanto alla Docg Aglianico del Vulture Superiore (dal 2011), ecco le Doc Aglianico del Vulture con 64 etichette e 145 aziende, Terre Alta Val D’Agri con 6 aziende e 7 etichette, Grottino di Roccanova con 3 aziende e 7 etichette, Matera con 8 aziende e 16 etichette e, infine, l’Igt Basilicata con 68 aziende e 176 etichette. Vuoi vedere che in Basilicata c’è un liquido più prezioso del petrolio?

Condividi:

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

EDICOLA DIGITALE