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POTENZA – Tutti a pensare che la ricchezza dei castagni del Vulture fosse nei suoi frutti saporosi. E invece il suo segreto più prezioso era custodito nelle foglie, in quelle “lance” seghettate che in autunno ingialliscono, cadono e formano un tappeto crepitante ai piedi della pianta. In quelle foglie, nascosta agli occhi ma non ai microscopi, c’è una molecola capace di combattere uno dei batteri più insidiosi, lo Stafilococco aureo.
Lo ha scoperto – o forse riscoperto, o meglio ancora ufficializzato attraverso il filtro della scienza – la professoressa Cassandra Quave, studiosa e docente in forze alla Emory University di Atlanta in Georgia, Usa. Lo si legge in uno studio pubblicato di recente sulla rivista scientifica Frontiers in Pharmacology e intitolato “Il Castaneroxy A dalle foglie di Castanea sativa inibisce la virulenza dello Staphylococcus aureus”. Gli autori – a parte Young-Saeng K. Cho, Morgan Brown e Alexander Horswill del dipartimento di Immunologia e microbiologia, University of Colorado – Anschutz Medical Campus, Aurora – sono della Emory a cominciare dalla Quave, che è il motore pulsante della ricerca, e poi Akram M. Salam, Caitlin Risener e Lewis Marquez (del programma in Farmacologia molecolare e dei sistemi, Laney Graduate School), Gina Porras e James T. Lyles (Centro per lo studio della salute umana), John Bacsa (dipartimento di Chimica).
Il marito di Quave, nato in Svizzera, è cresciuto nel cuore del Vulture, a Ginestra. «Anche lui si occupa di ricerca, nel campo della chimica, e infatti mi aiuta», spiega lei.
Nel piccolo centro lucano, 700 abitanti circa, la scienziata americana è di casa insieme ai tre figli («per metà italiani», tiene a specificare). Lei, docente di Dermatologia alla Scuola di medicina dell’università di Atlanta, ha studi in biologia, farmacia, etnobotanica.

Un atto di fiducia
La sua scoperta nasce da un modo di vedere il mondo differente da quello che ci aspetteremmo dall’accademico distaccato, dal topo di laboratorio: Cassandra Quave ha concesso un atto di fiducia alla sapienza popolare. Nei rimedi della nonna.
Per anni ha osservato la cosiddetta “medicina tradizionale” praticata in Basilicata come in ogni parte del mondo. Ha saputo tra l’altro delle donne del Vulture che curavano alcune infezioni della pelle con impacchi di foglie di castagno. «Perché mai avrebbero dovuto farlo se non fosse utile?», si è chiesta. E ha cominciato a prendere qualche foglia dalle terre della suocera a Ginestra e della cognata a Rionero.
In videochiamata dagli Stati Uniti la professoressa racconta nella sua lingua “adottiva” come sia nata la scoperta: «Il centro dei miei studi è capire quale pianta si usa per curare i problemi della pelle tipo infezioni, ascessi, bruciature e altri. Effettuando questo studio, ho fatto collezione di diverse piante e ho anche letto diversi libri su cui erano annotate le antiche usanze delle piante per la pelle. Fra queste piante era compresa anche la castagna che si trova in abbondanza in Italia. Non so quanti anni fa ma si usava bollire le foglie e fare una sorta di impacco da mettere sulla pelle per cercare di curarla. Fra i miei studi di studentessa ho trovato anche che queste piante hanno proprietà contro i batteri. Siamo andati avanti molti anni, quasi dieci. Ora ho il mio laboratorio universitario. Ho continuato a studiare queste foglie perché mi ha affascinato capire come possano funzionare. Nel 2015 abbiamo pubblicato uno studio sulle foglie: abbiamo notato che un estratto riesce a bloccare la patogenicità del batterio che si chiama Staphylococcus aureus, per la precisione il Methicillin-Resistant Staphylococcus Aureus (Mrsa), un tipo di batterio che provoca molte infezioni alla pelle ma anche ad altri organi come il cuore, i polmoni, le ossa eccetera».

A caccia di molecole
Il batterio in questione è infido. «Un terzo della popolazione mantiene questo batterio sulla pelle – prosegue Quave – Quando ti fai un taglio può penetrare. Causa anche l’eczema ai bambini, spesso sulle braccia. Io ero interessata a capire come funziona la chimica che si trova dentro le foglie di castagno, perché una sola foglia contiene centinaia di tipi di molecola. Quindi, con il primo studio nel 2015, abbiamo visto che facendo un estratto raffinato, con un minor numero di molecole, si sviluppava meno l’infezione sulla pelle dei topi. Dopo quello studio volevo capire esattamente quale chimica potessimo isolare in quantità abbondante e abbiamo trovato una nuova molecola mai prima isolata nelle foglie di castagno».
Bisognava battezzarla. «L’abbiamo chiamata Castaneroxy A – continua – dal nome della Castanea sativa, il nome scientifico della castagna. Abbiamo scoperto nella foglia della castagna una sostanza che blocca la capacità del batterio di produrre tossine. Il batterio – in breve – usa le tossine per entrare nel corpo, danneggiare la pelle e altri organi. La Castaneroxy A non è un antibiotico che ammazza il batterio come siamo abituati a vedere con le medicine. E’ un’altra maniera di affrontare il problema. Per me questo è molto interessante perché si valorizzano le antiche tradizioni».

Sapienza di nonna
Ecco il punto di forza che ha contraddistinto la ricerca di Cassandra Quave e del suo prezioso team: cercare di capire con l’occhio dello scienziato se i segreti secolari degli antenati, che avevano a disposizione la sola farmacia dei boschi e dei prati, avessero un fondamento o meno. Senza pregiudizi.
«Nel mondo abbiamo 33.000 specie di piante usate nella medicina tradizionale – spiega nel suo buon italiano – Per secoli l’uomo ha usato le piante come medicina. Ora se vedi la lista di medicine che si trovano nelle farmacie, tante sono state scoperte in natura. Ad esempio, diversi farmaci per trattare il cancro, medicine come l’aspirina o la morfina. Certo, oggi le produce l’industria, ma sono state scoperte naturali. Nel Sud Italia si usavano varie piante per trattare diversi problemi minori. Questo mi affascinava perché l’uomo non ha motivo di usare una cosa senza ragioni. E ho parlato tanto, specialmente con le vecchie nonne, perché in Italia soprattutto le donne hanno una grande esperienza di come si usano queste medicine: quando un bambino è malato, un figlio o un nipote, ci si rivolge sempre alla nonna».

Un’altra maniera
Ci sono diverse ragioni per cui questa scoperta («Per ora sperimentata solo sui topi, non ci sono ancora studi sugli umani, ci tengo davvero a sottolinearlo», dice) è importante. «Innanzitutto – specifica Quave – perché è un altro esempio di come la conoscenza tradizionale può essere valorizzata. La seconda ragione è che abbiamo bisogno di nuove molecole che combattano queste infezioni. Tantissime persone nel mondo sono infettate da questo batterio. I batteri diventano sempre più resistenti. Ci vogliono più opzioni per la cura. La Castaneroxy A non funziona come un antibiotico ma in un’altra maniera. E’ il primo passo per produrre nuovi tipi di medicine. Ma c’è ancora molto lavoro da fare».
La molecola non uccide il batterio ma ferma gli effetti dannosi per l’uomo. Che sono tanti, nonostante non se ne parli. Tanto per citare un dato: nel 2017, all’interno dei soli Stati Uniti, si sono verificate quasi 120.000 infezioni del flusso sanguigno da Staphylococcus aureus, e sono morte 20.000 persone.
E poi c’è il grande tema dell’Amr, sigla che sta per “resistenza agli antimicrobici”, ossia la sempre maggiore capacità dei microbi a resistere agli antibiotici. In questo modo le dosi da prescrivere diventano sempre più alte, con la conseguenza di maggiori effetti collaterali, rendendo a volte inefficace il farmaco. «Il governo inglese ha prodotto uno studio nel 2014 che stima 700.000 morti di infezioni resistenti all’anno nel mondo e secondo cui entro il 2050 ce ne saranno dieci milioni all’anno». Più dei morti per tumore.
Un farmaco capace di aggirare questo problema fornendo una risposta alternativa potrebbe voler dire tagliare un fondamentale nodo gordiano per la medicina contemporanea.
Ora il prossimo passo del team Quave è collaborare con altri chimici per arrivare a un prodotto che appunto abbia le caratteristiche di un farmaco e «fare più prove con gli animali per capire come possa agire meglio. Ad esempio, può essere che funzioni benissimo con altri antibiotici, insieme ai quali magari potrebbe diminuire i tempi di cura. Poi dobbiamo domandarci con quali tipi di infezioni funziona meglio. Il nostro studio riguarda solo l’infezione della pelle, però sono molto interessata a fare studi su quelle dei polmoni o del cuore o delle ossa. Il batterio provoca danni a tutti questi organi».
Ancora non si è registrato un interessamento da parte dell’industria farmaceutica alla ricerca sulla Castaneroxy A. Quave punta il dito sulla crisi del settore che blocca gli investimenti: «Ma le infezioni non scompaiono per le crisi economiche – commenta – La mia speranza è che in futuro ci siano più fondi, anche dal governo, per avanzare su queste e altre scoperte».

Amore per la Basilicata
Ma la molecola che si trova nella foglia di castagna del Vulture è comune a tutti i tipi di castagne? «Ottima domanda. Abbiamo iniziato uno studio proprio su questo collaborando con l’Arboretum della Harvard University di Boston. Abbiamo raccolto foglie di diverse specie di castagno che loro coltivano ma non abbiamo ancora finito il progetto».
Quave si dice innamorata della Basilicata. «Per me – assicura – è una zona splendida, la natura è bellissima. Ci siamo sposati al castello di Federico II di Lagopesole. Per me è la mia seconda casa, una casa del cuore. Infatti mi è dispiaciuto che non siamo riusciti e venire quest’estate per colpa del Covid-19».
E la Basilicata può rivelarsi uno scrigno di risorse anche sanitarie: «Questa ricerca – rimarca la studiosa – è un importante esempio del fatto che rimane molto ancora da scoprire sul potere della natura. Non bisogna andare fino in Amazzonia per trovare le medicine. Abbiamo quest’idea che tutto debba essere super esotico. E invece in Europa ci sono tante pratiche, tante usanze specialmente delle persone anziane che possono essere considerate una guida per capire quali piante siano più importanti da studiare. E per capire che questa conoscenza e i riti antichi si stanno perdendo con le nuove generazioni. Prima si lavorava, si andava alla vigna fino a sera. Oggi tanti vanno a lavorare in fabbrica, a lavorare in città e non hanno tempo di passare del tempo nella natura. Non c’è più questo ritmo della vita, la capacità di usare le piante per mangiare o per fare medicine. E’ importante capirlo prima che si perda tutta la conoscenza».
Ma il rapporto di Cassandra Quave non si esaurisce qua: «In collaborazione con il Comune di Ginestra, con i fondi dell’Unione europea – rammenta – ho scritto un libro intitolato Medicina popolare del Vulture. E’ redatto in inglese e italiano con i nomi delle piante anche in arbereshe. L’ho stampato in proprio nel 2009. Il Comune di Ginestra detiene i diritti e ha un pdf: ogni tanto lo stampa per fare dei regali. Con quei fondi ho stampato forse mille copie distribuite non solo a Ginestra ma anche in tutti i paesi in cui ho lavorato: Barile, Maschito e altri del Vulture. Molti riconoscevano nelle numerose foto le proprie zie e nonne. Hanno anche realizzato un giardino botanico a Ginestra con questi fondi, che esiste ancora oggi e in cui si possono insegnare ai bambini le antiche tradizioni».

Il ponte fra conoscenze
C’è un aspetto particolare da segnalare della ricerca della Emory University. In questo periodo di pandemia c’è stata una diffusione enorme di fake news, di notizie basate solo su credenze popolari, passaparola e copia-e-incolla. Storie senza sostanza trovate in giro e fatte circolare o con malizia o per ignoranza. La scienza si è difesa contro queste fake news dicendo che soltanto le informazioni filtrate attraverso i criteri della ricerca scientifica possono essere accettate. Lo studio della Quave sembra un ponte fra i due estremi: da una parte le conoscenze popolari, dall’altra la scienza. Un collegamento, sintesi perfetta fra questi due mondi. Anche la Quave pensa che possa essere così?
«Sì, mi piace quest’idea di un ponte fra la scienza e la sapienza tradizionale. Perché, certo, soprattutto con il Covid-19 sono usciti fuori tanti rimedi. Il problema è che non sono stati testati in laboratorio. Nel mio laboratorio stiamo controllando tutte le piante usando i metodi scientifici, ma non abbiamo ancora pubblicato i risultati perché ci vuole tempo, ci vogliono molti esperimenti per capire bene se funzionano e come funzionano. Infatti io spero che molti studenti, di scuola superiore e dell’università, possano pensare di studiare la natura».

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