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“Matera non è una città come le altre. E’ un luogo senza tempo. Anzi, le dirò di più: non è che Matera non ha epoca: è che ne ha tante quante sono quelle attraversate dalla sua nascita. E quanto alla sua candidatura europea va detto che essa è già una capitale della cultura, ne fa fede la sua lunga e ricca storia”. Il regista napoletano Francesco Rosi, raggiunto ieri nella sua abitazione romana alla vigilia della partenza per la città dei Sassi  – dove domani alle 12, a Palazzo Lanfranchi, in una cerimonia pubblica alla presenza del ministro Massimo Bray, gli sarà assegnata la cittadinanza onoraria della città – ha un rapporto assai speciale con Matera, e si sente. Si dice felice di  consolidare con un atto ufficiale il suo rapporto con Matera. “Che vuole, questa è una città alla quale mi legano ricordi straordinari. A cominciare naturalmente da quelli associati alle riprese di “Cristo si è fermato a Eboli”, il film che girai qui con Gianmaria Volonté. Ma anche  con Lea Massari, lo scriva. Una grandissima attrice di cui tutti,  chissà perché, si dimenticano sempre. E che invece mi fa piacere ricordare qui, ora che in tanti, grazie all’iniziativa del Comune di Matera, torneranno a vedere i miei film” (in omaggio al regista la città proietta gratuitamente, al Comunale, le tre pellicole girate in Basilicata, ndr).

Ma sono tanti altri i ricordi materani che affiorano, le suggestioni di un mondo che non c’è più. Come quelle collegate  al film “C’era una volta” (nel cast c’erano Sofia Loren e Omar Sharif, appena assurto alla popolarità mondiale con Il Dottor Zivago).  Il film fu girato nel 1967, quasi venti anni prima del “Cristo si è fermato a Eboli”. Rosi scelse Matera perché, racconta, era la città ideale per ambientarvi una storia calata nel Sud  del ‘600, ai tempi della dominazione spagnola. Un film, peraltro, anomalo rispetto alla filmografia dell’autore napoletano, noto fino ad allora soprattutto per pellicole di  impegno civile come “Le mani sulla città” e “Il Bandito Giuliano”. Vi si narravano le vicende fantastiche di Isabella, popolana abilissima che vive di piccoli espedienti (tra cui quello in cui, con l’aiuto di ragazzini, vende un asino ad un ricco mercante facendogli credere che defechi oro). “Avevo bisogno di una città che si prestasse a un racconto fiabesco. La storia era tratta dal Cunto de li Cunti di Giambattista Basile, il grande autore napoletano del tardo ‘500. E Matera, soprattutto allora, era un posto che si prestava alle fiabe”..

E’ dagli anni Ottanta che il regista manca da Matera. “L’ultima volta ci sono venuto per girare “Tre fratelli” – ricorda -. Rispetto a come me la ricordavo (c’ero stato negli anni Sessanta) non la trovai molto cambiata . Mi dicono che ora sia cambiata molto.

Sono  curioso di vedere come. Sa? Mettere  le mani su Matera è molto difficile. E’ un posto che va trattato con i guanti”.

“Matera non può che avere una crescita culturale – aggiunge -. Ma non diventerà mai una Pompei. Perché ha Matera c’è un popolo molto interessante. Contadini, artigiani, scrittori, pittori. Io mi auguro che i materani di oggi mantengano le tradizioni. La città è fatta per attirare le persone più sensibili e colte. Come è avvenuto dopo i miei film. Ah, il cinema per Matera ha fatto tanto…ma anche la città per il cinema”.

 

 

 

 

 

 

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