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L’intervista a Stefano Ricci prima dello spettacolo al Festival delle 100 scale di Potenza
“Still life”, l’innoalla diversità
di FRANCESCO ALTAVISTA
POTENZA – Nel cartellone del “Festival Città delle 100 Scale” è una di quelle date da evidenziare. Dopo il lavoro di Latella arriva infatti un’altra grandiosa realtà italiana di teatro contemporaneo famoso in tutto il mondo: l’ensemble “ ricci/forte”. La performance “Still Life” sarà messa in scena domani alle 20.30 al teatro “Stabile”, ma oggi alle 18.30 nel Ridotto del teatro potentino ci sarà un incontro del pubblico con Stefano Ricci e Gianni Forte coordinato da Francesco Scaringi. In anteprima il maestro Stefano Ricci si concede ad un’intervista per il Quotidiano della Basilicata. 
Maestro, come nasce una performance come “Still Life” ?
«Nasce soprattutto da un’indignazione, dal silenzio che lo Stato continua ad opporre ad una escalation di suicidi e di delitti che restano impuniti, dettati da un mobbing preciso identitario che si svolge nelle scuole, nei licei. Nella scuola dove dovrebbero difendersi e sviluppare le caratteristiche individuali dell’uomo chi esce dal branco, chi denuncia una modalità di pensiero differente, viene subito castrato, messo all’angolo, viene costretto come è avvenuto e sta avvenendo, all’autoannientamento, a togliersi la vita perché vessato in continuazione. I lavori dell’ensemble “ricci/forte” si costruiscono attraverso suggestioni, da lavori continui e ripetuti sull’apparato emotivo dei performers, un lavoro molto schietto e puro su quello che sono le proprie mancanze e fragilità, i propri trascorsi familiari. E poi cerchiamo di raccontare il presente attraverso uno sguardo poetico».
E’ una performance che crea forse anche delle vie di fuga ad una società che tende all’omologazione. Come si recupera la differenza?
«C’è un prezzo da pagare, c’è un impegno. Queste morti che apparentemente non ci riguardano in realtà sono profondamente legate a noi, abbottonate alla nostra pelle. Proviamo a vivere i nostri giorni con responsabilità e coraggio delle proprie scelte, fare a meno di salire sul carro dei vincitori e proviamo ad avere il rispetto della propria differenza. Bisogna riscoprire la differenza risvegliando i nostri sensi, cercando di comprendere che non basta respirare per essere in vita, ma bisogna agire, ognuno riscoprendo i propri valori. Non si può più vivere in questo stato di sonnolenza».
Maestro lei viene da studi molto tradizionali per quanto riguarda il teatro, è diplomato all’Accademia d’arte drammatica di Roma. Questa omologazione colpisce anche gli attori? 
«Assolutamente sì. Le accademie le scuole sono condotte da persone che non fanno questo mestiere. Raccontano e dedicano il loro tempo per dare delle basi, ma poi l’attore che esce deve confortarsi con il tempo presente. Il rischio è quello di restare intrappolati nell’armatura che appartiene alla tradizione e con questa armatura si resta scollegati. Io personalmente ho sentito l’esigenza di cercare strumenti differenti che mi raccontassero meglio. Tutto poi dipende dalla risposta ad una domanda: Perché voglio fare teatro?». 
La Basilicata grazie a voi riuscirà mercoledì ad aprire la porta sul teatro contemporaneo. Cosa però ci stiamo perdendo come Italia del grande teatro europeo e mondiale?
«Noi abbiamo avuto la fortuna anche in questi ultimi mesi di creare uno spettacolo a Mosca con 20 performer russi e tre settimane a Parigi. L’Europa nonostante le difficoltà economiche cerca di trovare delle valvole dignitose ad un’arte che in Italia latita. Siamo ancorati ad un sistema morto di tradizione e questo non fa crescere, continua a farci restare in questo perenne stato letargico. Nelle altre nazioni c’è una volontà di spezzare l’incanto». 
Concludiamo. Cosa è per lei la Bellezza?
«La Bellezza è la capacità di guardarsi allo specchio e sorridersi per la coerenza che si insegue».

POTENZA – Nel cartellone del “Festival Città delle 100 Scale” è una di quelle date da evidenziare. 

Dopo il lavoro di Latella arriva infatti un’altra grandiosa realtà italiana di teatro contemporaneo famoso in tutto il mondo: l’ensemble “ricci/forte”. Il maestro Stefano Ricci si concede ad un’intervista per il Quotidiano della Basilicata. 

Maestro, come nasce una performance come “Still Life”?

«Nasce soprattutto da un’indignazione, dal silenzio che lo Stato continua ad opporre ad una escalation di suicidi e di delitti che restano impuniti, dettati da un mobbing preciso identitario che si svolge nelle scuole, nei licei. Nella scuola dove dovrebbero difendersi e sviluppare le caratteristiche individuali dell’uomo chi esce dal branco, chi denuncia una modalità di pensiero differente, viene subito castrato, messo all’angolo, viene costretto come è avvenuto e sta avvenendo, all’autoannientamento, a togliersi la vita perché vessato in continuazione. I lavori dell’ensemble “ricci/forte” si costruiscono attraverso suggestioni, da lavori continui e ripetuti sull’apparato emotivo dei performers, un lavoro molto schietto e puro su quello che sono le proprie mancanze e fragilità, i propri trascorsi familiari. E poi cerchiamo di raccontare il presente attraverso uno sguardo poetico».

È una performance che crea forse anche delle vie di fuga ad una società che tende all’omologazione. Come si recupera la differenza?

«C’è un prezzo da pagare, c’è un impegno. Queste morti che apparentemente non ci riguardano in realtà sono profondamente legate a noi, abbottonate alla nostra pelle. Proviamo a vivere i nostri giorni con responsabilità e coraggio delle proprie scelte, fare a meno di salire sul carro dei vincitori e proviamo ad avere il rispetto della propria differenza. Bisogna riscoprire la differenza risvegliando i nostri sensi, cercando di comprendere che non basta respirare per essere in vita, ma bisogna agire, ognuno riscoprendo i propri valori. Non si può più vivere in questo stato di sonnolenza».

Lei viene da studi molto tradizionali per quanto riguarda il teatro, è diplomato all’Accademia d’arte drammatica di Roma. Questa omologazione colpisce anche gli attori? 

«Assolutamente sì. Le accademie le scuole sono condotte da persone che non fanno questo mestiere. Raccontano e dedicano il loro tempo per dare delle basi, ma poi l’attore che esce deve confortarsi con il tempo presente. Il rischio è quello di restare intrappolati nell’armatura che appartiene alla tradizione e con questa armatura si resta scollegati. Io personalmente ho sentito l’esigenza di cercare strumenti differenti che mi raccontassero meglio. Tutto poi dipende dalla risposta ad una domanda: Perché voglio fare teatro?». 

La Basilicata grazie a voi riuscirà mercoledì ad aprire la porta sul teatro contemporaneo. Cosa però ci stiamo perdendo come Italia del grande teatro europeo e mondiale?

«Noi abbiamo avuto la fortuna anche in questi ultimi mesi di creare uno spettacolo a Mosca con 20 performer russi e tre settimane a Parigi. L’Europa nonostante le difficoltà economiche cerca di trovare delle valvole dignitose ad un’arte che in Italia latita. Siamo ancorati ad un sistema morto di tradizione e questo non fa crescere, continua a farci restare in questo perenne stato letargico. Nelle altre nazioni c’è una volontà di spezzare l’incanto». 

Concludiamo. Cosa è per lei la Bellezza?

«La Bellezza è la capacità di guardarsi allo specchio e sorridersi per la coerenza che si insegue».

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