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Di seguito riproponiamo l’intervista di Toni Servillo, il protagonista del film di Sorrentino “La grande bellezza” vincitore del Premio Oscar come miglior film straniero rilasciata al Quotidiano della Basilicata in occasione della prima edizione di MateRadio nei Sassi

UN programma tutto da gustare quello della “Festa di Radio3 – MateRadio”, con artisti incredibili di calibro internazionale. Oggi sarà il giorno dei fratelli Servillo al Parco del Castello. Ci sarà Peppe a concludere alle 22 con “Futbol” e prima alle 21, l’attesissimo Toni con lo spettacolo “Toni Servillo legge Napoli”. Uno spettacolo molto suggestivo che si muoverà tra le parole di grandi autori-attori napoletani.
Toni Servillo, forse il più grande attore italiano del momento, con i suoi premi sia come attore cinematografico sia, insieme ai tantissimi applausi anche internazionali, come attore e regista teatrale, si concede per una breve intervista , in uno dei suoi pochi momenti liberi, per Il Quotidiano della Basilicata.
Maestro, lei che è una delle speranze di rinascita del cinema italiano, cosa pensa della città di Matera, anche come possibile location per un suo film?
«Sono stato a Matera più di una volta e naturalmente mi unisco al coro che la indica come uno dei posti più belli d’Italia e del mondo. Non sono un regista e quindi non immagino dove ambientare i film, sono i registi con la loro fantasia a portarmi in giro ma Matera a me personalmente piace davvero molto».
Per la festa di Radio3, lei porta in scena “Toni Servillo legge Napoli”. Come Toni Servillo legge la città?
«Questo spettacolo non è un recital, nel senso che, in questa pièce vengono messe insieme in modo approssimativo e casuale dei pezzi da recitare.  Sono dei poemetti piuttosto lunghi scritti da attori napoletani e come spesso capita a Napoli sono anche, attori, poeti e cultori della loro lingua capaci di leggere molto bene la realtà. Si tratta di Eduardo, Viviani e poi andando a quelli contemporanei Moscato, Borelli, è un lungo viaggio nella lingua napoletana che dai classici del passato ai contemporanei ha come tema conduttore il rapporto dei napoletani e dell’uomo visto da Napoli con aldilà, con la morte, con Dio e con la Santità. Questo fa venire fuori una enorme polifonia di voci in una civiltà straordinaria. Sostanzialmente si attesta la condizione di un popolo che grida che reclama, che domanda, attraverso la voce di questi grandi poeti».
In tutte queste voci napoletane illustri, cosa aggiungerà la sua di voce?
«Spero la scoprirete vedendomi recitare.
Io sono un attore, ho naturalmente pudore a giudicare il mio recitare e soprattutto il mio lavoro si esprime esclusivamente sul palcoscenico. Siamo gli esponenti di un’arte antica che ha il metro di giudizio negli occhi del pubblico, nel momento stesso in cui si esprime».
Tra gli autori che lei leggerà, due sono molto legati alla sua carriera. Perché è così legato ad Eduardo De Filippo e Raffaele Viviani?
«Sono due uomini che con il loro magistero hanno incarnato il teatro. Sono due esempi rarissimi in cui il teatro si è fatto carne. Come è accaduto nella parabola di Moliére: il teatro si identificava con la fisicità e con l’avventura umana in questa terra, così come nel caso di Eduardo De Filippo e Raffaele Viviani che sono due uomini teatro».
Lei, oggi è uno de più grandi attori di un teatro italiano che supera i confini nazionali. È un autodidatta che non ha frequentato accademie. Come nasce l’attore Toni Servillo?
«E’ una storia molto lunga. Non credo alle vocazioni, non è successo che ad un certo punto sulla via di Damasco è comparso un segnale che mi ha detto: farai l’attore da grande. Sicuramente nell’infanzia, nella formazione dell’attore, un senso che necessariamente deve svilupparsi molto bene è l’ascolto. Io sono sempre stato in ascolto. Significa sentire gli altri osservarne i comportamenti, capire il ritmo, distinguere i suoni. Questa passione per l’ascolto mi ha messo anche nella posizione poi di diventare forse quello che sono».
“Unisce tradizione e linguaggi nuovi”, queste sono alcune delle parole che i critici le attribuiscono nel suo modo di fare teatro. Ma quale è il suo segreto?
Non avere segreti e non fingere di averne. Io credo nel lavoro, nella disciplina, nella coerenza, nella costanza; io credo che il teatro sia una fatica e un rapporto con la vita. Mi riconosco assolutamente in quelle parole, io credo che non si possa andare avanti senza saper guardare in maniera intelligente anche dietro».
E’ la stessa ricetta che lei usa anche nel recitare al cinema?
«Cerco di fare le due cose contemporaneamente e con la stessa passione. Quello che dico sempre, e per me è molto importante sottolineare, è che il teatro non rappresenta un’anticamera per arrivare al cinema.  Io faccio le due cose insieme, ed affronto i due lavori con lo stesso rispetto, con la stessa passione, la stessa dedizione. Dal teatro al cinema porto la disciplina».
Lei ha interpretato nel cinema due personaggi storici, molto importanti Andreotti e Mazzini. Come un attore si pone davanti a queste personalità forti e storiche?
«Le si studia e si fa. E’ nel bagaglio dell’attore offrire un varietà di interpretazioni. Io sono un attore che preferisce nascondersi dietro i personaggi. Più il personaggio ha una forte personalità più mi piace nascondere la mia».
Cosa è la Bellezza?
«Certo è un concetto complesso, quindi non è la prima cosa che viene in mente, si rischia di parlare a vanvera e ai giornali non si deve mai fare. Devo dirle che non mi sento pronto per questa risposta».

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