X
<
>

Condividi:
7 minuti per la lettura

 

Dietro un grande un uomo c’è sempre una grande donna. E dietro una grande band c’è sempre un grande produttore. Non c’è dubbio. La storia della musica è ricca di esempi che rivelano l’importanza di questa figura professionale sconosciuta ai più, ma spesso determinante per la realizzazione di un disco di successo. Si pensi ad uomini come George Martin, definito, non a caso, “il quinto Beatle”; a Mark “Flood” Ellis, firma di fortunate produzioni per U2, Depeche Mode, Nine Inch Nails, Smashing Pumpkins, solo per citare alcune band con le quali ha lavorato; oppure a Steve Albini, “guru” della scena alternativa americana, produttore di album capolavori per Pixies (Surfer Rosa), Nirvana (In Utero) e Pj Harvey (Rid Of Me).

Quella del produttore è una figura fondamentale per l’artista: lo guida, lo sostiene, lo stimola. Ne traduce le visioni musicali in suoni. È un mestiere affascinante, certo, ma essere produttore musicale, oggi, non è semplice. Serve coraggio e, soprattutto, un grande intuito, per investire in nuovi progetti. «Bisogna ascoltare con le antenne giuste – mi dice Antonio Deodati» nell’intervista che segue, quando gli chiedo in che modo seleziona gli artisti per le sue produzioni.

Antonio è un giovane produttore, arrangiatore e musicista lucano, che lavora nel campo discografico da oltre 15 anni. Ha collaborato in qualità di produttore e arrangiatore con Mango, Laura Valente, Marie Claire D’Ubaldo, Corona, Federico Poggipollini, Gerardina Trovato, Michele Placido, e tanti altri. Lo incontro a Lagonegro, sede della sua etichetta di produzione discografica, la Total Sounding Area, per approfondire la conoscenza di un settore che negli ultimi anni ha vissuto una vera e propria rivoluzione.

I produttori, quindici anni fa, dopo aver individuato gli artisti e affrontata la pre-produzione si affidavano alle multinazionali per il completamento del prodotto ed immetterlo nel circuito commerciale; la distribuzione e la promozione erano quasi sempre affidate alle major.

Antonio, qual è, invece, il tuo modus operandi?

«Solitamente mi occupo soltanto dell’aspetto produttivo, ma per alcuni progetti ho curato anche l’aspetto promozionale e distributivo del prodotto. In quest’ultimo caso, però, sei costretto a non poter far più produzione. È per questo che ho scelto di non essere etichetta discografica. Perché è un altro lavoro, quello. Il mio compito è quello di far musica, produrre, inventare, cercare di stimolare sinergie artistiche, quando faccio il produttore. Quando faccio l’arrangiatore, invece, mi occupo  dell’organizzazione  strumentale e strutturale della composizione. Mentre, da musicista dei Renanera, cerco di far diventare invisibile la figura dell’arrangiatore e del produttore».

Come cerchi e selezioni gli artisti per eventuali produzioni?

«È un fatto di pancia. L’artista, solitamente, mi colpisce per come si approccia alla musica e personalmente. Bisogna cercare di ascoltare con le antenne giuste. E se poi si fa qualcosa di positivo è sempre un merito per tutti e due».

La Total Sounding Area è attiva, nel campo discografico nazionale, da 15 anni. In che modo si è evoluto il panorama discografico da quando hai iniziato la tua avventura nel campo della produzione musicale?

«La mia prima registrazione è stata su bobina, un 16 piste della Fostex, e avevamo tutt’altra metodologia. Quindi, il cambio tecnologico l’ho vissuto in pieno. Esso, da una parte, ha allargato a dismisura le possibilità, in quanto cose che facevamo con 30.000 euro prima, le facciamo con 2.000  oggi.  Allo stesso tempo, però, oggi chiunque possieda un computer può fare qualsiasi cosa. Il cambio tecnologico, da un punto vista artistico, ha permesso il proliferare di nuovi generi musicali, ma ha anche penalizzato le case discografiche, costrette, ad esempio, a dover affrontare il problema crescente della pirateria musicale. Oggi il cd è quasi un gadget, e l’artista, di conseguenza, deve cercare visibilità in modi diversi, come, ad esempio, i talent show».

Cosa pensi dei talent show?

«Dietro i talent show, solitamente, ci sono le major companies. In ogni caso. Sono  semplici strumenti per far emergere i loro stessi prodotti. Strumenti creati per fare commercio e colmare la mancanza di idee dei discografici nel fronteggiare il calo delle vendite».

Antonio, hai collaborato in qualità di produttore e arrangiatore con Mango, Laura Valente, Marie Claire D’Ubaldo, Corona, Federico Poggipollini, Gerardina Trovato, Michele Placido e tanti altri. Un lavoro, il tuo, che sembra essere motivato da una profonda passione per la musica, indipendentemente dai generi, purché di buoni contenuti.

«La musica, per me, è 90% entusiasmo e 10% tecnica. Questo è quello che ha motivato me e i miei musicisti. Se non avessi avuto persone che mi hanno sostenuto dall’inizio, non ci sarei riuscito in questa impresa. Certo, passare da un linguaggio musicale ad un altro, dall’etnico al rock di Poggipollini non è automatico né agevole: ci sono tecniche di produzione differenti, tra le altre cose. Ma è anche questo il fascino del mio mestiere: non è un lavoro di routine, è sempre un lavoro di ricerca che si basa sulla conoscenza dell’artista e sullo giocare con i suoni».

Dei Renanera, il cui album di debutto “Troppo Sud” è stato distribuito gratuitamente in 2000 copie in allegato a Il Quotidiano della Basilicata, oltre che produttore sei anche tastierista. Come si sta sviluppando il percorso artistico dei Renanera? Cosa c’è in cantiere?

«Il seme l’abbiamo piantato tanti anni fa, quando ho conosciuto Erminio Truncellito, direttore artistico e attore del Parco Isabella Morra. Parco, inoltre, che mi ha visto coinvolto dal 2000 nelle produzioni teatrali: ho più volte confezionato spettacoli interi, composto musiche e registrato. Ed è questo che mi ha iniziato alla musica etnica. Con Erminio abbiamo quindi deciso di estendere questa nostra passione per le sonorità etniche in un nuovo progetto, i Renanera, che ha preso forma solo dopo alcuni anni: un giorno ci siamo trovati ad un concerto di Eugenio Bennato, nel Bosco Ralle di Satriano, dove si svolge il Lucania Etno Folk, e durante la sua performance mi sono reso conto che una cassa “in quattro” elettronica che utilizzava, era uguale a quella della dance che arrangiavo io nelle produzioni. In quel momento ho capito che la musica etnica e la musica dance potevano fondersi in un unico progetto. Al momento, abbiamo un singolo in uscita, che sarà incluso nel secondo album, dal titolo “Campo. Quannu moru po’ m’a scampo”. Questo brano è una critica ai controsensi di oggi, come per esempio, il fatto che abbiamo, a poche centinaia di chilometri, delle persone che sono costrette a venire in Italia con i barconi e che spesso, in Italia, non arrivano; l’inquinamento che ha raggiunto livelli allarmanti; la povertà, fenomeno che si fa fatica ad arginare. Cose che, appena dieci anni fa, difficilmente avremmo immaginato potessero riguardare anche noi».

Altro progetto discografico, al quale ti sei dedicato ultimamente, è stato la produzione di “Eklettika” di Unaderosa.

«Titti, la mia compagna, in arte Unaderosa, è un’artista difficile da classificare in un genere definito. Ha lavorato sempre con artisti musicalmente differenti: con Silvano Del Gado ha realizzato 4 singoli, prestando anche la voce; è stata corista per Corona; ha prodotto un suo album, Eklettika; ed è uno dei motori dei Renanera, sia a livello compositivo sia vocale. Fa davvero tante cose. È una risorsa incredibile per me. Ma la nostra più grande produzione, adesso, è indubbiamente Nicolò».

Una delle sei “macrodirettrici”, inserite nei disegni di legge di Stabilità per il 2014 e di Bilancio (2014-2016), sulle quali si svilupperà l’azione amministrativa e politica della Regione Basilicata, prevede la creazione di una Basilicata Music Commission. Ovvero, la nascita di una Fondazione in grado di valorizzare la cultura musicale del passato e promuovere e sostenere le produzioni musicali. Cosa ne pensi?

«Ho letto cosa sarà la Basilicata Music Commission e penso che, purtroppo, siamo ancora fermi all’Ottocento. Perché? Perché se ne sono appropriati i Conservatori, e di conseguenza si darà spazio soltanto alla musica classica.

Ma la musica che ascoltano i giovani non è certo quella classica. Credo che un ente così non possa funzionare, se non per le compagini orchestrali».

 

Condividi:

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

EDICOLA DIGITALE