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CHE FOSSE lo scrittore italiano più eccentrico di tutti, lo sapevamo già. Ma di quanto coraggio e naturalezza nel porsi sempre al centro dell’attenzione fosse dotato, seppur detto fra virgolette, ancora non lo sapevamo.
Parliamo di Gaetano Cappelli, in libreria col nuovo romanzo, “Stelle, Starlet e adorabili frattaglie”, (eccezionalmente?) Mondadori come oramai tanto fa, altro regalo immenso alla Basilicata e, soprattutto, alla biblioteca universale della grande letteratura. Ché, in primis, cosa figuriamoci se spiattellata quattro e quattro otto in un’intervista concessa – fosse pure alla direttrice del Quotidiano stesso – lo scrittore potentino sviluppa le sue trame partendo sempre dalla stessa: al di là del fatto che si scriva oppur no sempre lo stesso romanzo. Dove, diciamocela tutta, il pacchero e l’aglianico non sono gli unici elementi a tornare nelle diverse opere di Cappelli. Perché Gaetano Cappelli nei suoi testi, invece, fa “tornare” i lineamenti di base delle proprio figure. Quando i personaggi sono semplici propotipi. Epperò collaudati nella realtà delle nostre terre. Facendo conto, per giunta, che quando diciamo “personaggi”, intendiamo invece “personalità”.
Ovvero anche luoghi e stili/scelte di vita. Prendiamo, a mo’ d’esempio, ‘un sogno’: personaggio centrale di tante nostre vicende quotidiane: il personaggio principale del romanzo, Adelchi degli ex nobili Caraffa d’Acquaviva, vorrebbe semplicemente raggiungere un obiettivo lontanissimo eppur il massimo risultato posto al termine, in un certo senso, della strada scelta. Insomma Adelchi, fattosi cuoco, vuole una stellina Michelin alla stregua di come Arisa aveva pensato al Festival di Sanremo. Per vincere nella sua professione. Poi i soliti manichini apparentemente minori. Dalla starlet, appunto, Domitilla Maggio, in arte Domi Maggio, se così si può dire nel come pensa al suo lavoro. Al fascinoso attore all’anagrare ricordato col brutto appellativo Donato Loruscio. Passando per l’arricchito personalmente e ricco di famiglia, nonché amante della starlet in questione, Frediano Dagassi detto Fredo. Fino alla giornalista rampante Chiara Marzolati, quanto di peggio in pratica possa manifestare il carrierismo puro e semplice. Più i politici corrotti, l’attore straniero famoso e con tanti problemi passato dalla Lucania già trapassata dal lucano Papaleo Rocco e il Versante consulente d’immagine e marketing, internazionale veramente e della Basilicata originario proprio certamente. Etcetera etcetera. Tutti, tra l’altro, a ruotare intorno alla desiderio, tra l’altro non unico né primario, dell’Adelchi. Ché, è giusto dire, l’obiettivo “nobile” del ‘nobile’ discendente di Gian Canio è far della propria cucina il massimo che possa esserci.
Con erbe a gemmare i piatti e prodotti locali sani a farli germogliare. In pratica tutta la storia si sviluppa davanti ai non più sbigottiti ma pur sempre fascinosci Monti Alburni. Prevalentemente in un paesino della Basilicata di quelli buoni a farsi ricordare per 1) la cementificazione degli ultimi decenni, 2) il dissesto idrogeologico galoppante e sempre in moto, 3) le sagre di varia, anche se più o meno basate sempre sulle stesse cibarie, natura. Tipo quella delle “adorabili frattaglie”, come il consulente voluto dal sindaco che aspira al posto in Parlamento, chiama a favore di promozione mercantile niente di meno che loro grazia gli “gnumm’riedd” (interiora, di certo animali, arrotolate magistralmente nelle interiora, di certo animali).
La commedia, è ovvio, per trama vale moltissimo di più. Comunque, al di là d’alcuni piatti simpaticamente posati in appendice al romanzo, è sempre la narrativa cappelliana a stupirci. Dove il tocco, a tratti bizzarro – vedi quando si gioca con le parole per avvicinare in qualche modo al parlato – è sempre l’arte vera del maestro della narrativa contemporanea italiana. E il libro è pure un omaggio al cuoco lucano, recentemente deceduto, Frank Rizzuti.

 

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