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AL “Calitri sponz film fest” ospite d’onore, nonché presidente di giuria, il regista Luigi Di Gianni neo presidente della “Lucana film commission”.

A Di Gianni è stata dedicata anche la “Sponz retrospective” con “Magia lucana”, “Grazia e numeri”, “L’Attaccatura” , “Nascita e morte del Meridione” e “Carlo Gesualdo, “Appunti per un film” .

Maestro Di Gianni, quali sono le affinità tra le tradizioni lucane e quelle dell’Alta Irpinia?

«Stesso tipo di tradizioni, lo stesso passato, le stesse credenze magiche e gli aspetti religiosi».

Parliamo del rapporto fra religione e magia. C’è qualcosa che le  accomuna?

«Sono profondamente diverse. La magia è un aspetto culturale che fa parte non solo della civiltà contadina ma appartiene all’intera comunità è un elemento di culto che merita rispetto tanto quanto la religione.  Anche nelle forme magiche c’è un fondo di verità».

Qual è il suo personale visione sulla Verità e sulla Fede, sul culto e sul dogma?

«Come le dicevo, nutro un profondo sentimento per la religiosità come culto, il mio rapporto con la fede, però, non è accomunabile con i dogmi. Alcuni dogmi li accetto pur non condividendoli. Non vado in Chiesa da molti anni, ma rispetto i sacramenti. Il mio culto non è legato alle dottrine cristiane ma alle filosofie” negative”. Non sono un “positivista”.

Quindi è un “esistenzialista”?

«Sono molto suggestionato dal concetto heideggeriano di “esistenza”, ma anche dal concetto kirkegardiano di angoscia. Le racconto un aneddoto. Mi preparavo agli esami di maturità classica e il mio professore mi suggerì di leggere gli “Studi sull’Esistenzialismo” di Kierkegaard. E lì trassi alimento e suggestione. Di Heidegger, amo la prima fase ma anche le seconda, quella legata alla filosofia di Holderlin».

Quale è il suo rapporto con il Neorealismo?

«Apprezzo molto il Neorealismo, Germania Anno Zero di Rossellini e di Paisà amo particolarmente l’episodio celebre sul Po, ma non sento di appartenervi. Le racconto un aneddoto: quando ero al Centro di cinematografia   mi opponevo al furore neorealistico di quei tempi. Mi entusiasmava invece “Angelo Azzurro” di Marlene Dietrich, e per ciò ebbi una discussione con un mio collega che mi definì “decadente”».

Come definirebbe   il suo “essere lucano”?

«Ritengo che la “lucanità” sia un complesso problema di origine. Sento molto questo tema, la mia città di nascita è Napoli. Sono napoletano per via materna, le mie origini, campane, si radicano negli aspetti del sottosuolo, nel culto della morte. Ma mio padre invece era originario di Pescopagano. Mi sento lucano per la difficoltà di raggiungere una méta. Sento di appartenere alla magia di questo territorio. Quando mio padre mi condusse per la prima volta a Pescopagano, attraversai un paesaggio che mi sconvolse; le curve, la tortuosità, la luce che arrivava e poi spariva; tutto ciò mi faceva tremare ed entusiasmare. Una delle ragioni per cui sono tornato in Basilicata, a nove anni, è stata per assistere a un lamento funebre. Questa è stata la mia seconda emozione, la prima è stata,  come le dicevo, la straordinarietà del paesaggio, che ho poi riscoperto attraverso l’indagine demartiniana. All’inizio snobbavo il documentario. Poi, nel ‘58, ho letto un trafiletto  sulle tradizioni lucane di Ernesto De Martino, e mi sono infiammato. Così è cominciata la “Magia lucana”. Non sono un antropologo ma un uomo di cinema che si ispira, talvolta, all’antropologia. Opero nel campo della finzione perché, a volte, la trovo più vera della realtà.

Cosa pensa del cinema lucano oggi?

«Ci sono sforzi notevoli, ho visto un grande fermento e movimento che sono sicuro approderà a delle giuste méte».

Cosa salverebbe della Basilicata?

«Io salvo l’identità lucana, raccomando sempre di non vergognarsi del proprio passato e di essere stati poveri. La povertà non è solo tragedia se la si guarda con gli occhi di chi è riuscito ad uscirne senza rinnegarla».

 

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