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SI intitola “Il sacro della primavera”, tratto da “La sagra della primavera” di Igor Stravinskij, lo spettacolo che la compagnia il “Balletto civile” porterà in scena domani sera, alle 20.30, al teatro Stabile nell’ambito del cartellone del “Festival città delle cento scale”.
Una metafora del nostro tempo, di una generazione che invecchia senza sbocciare. È “Il sacro della primavera” ideazione e coreografia di Michela Lucenti, con incursioni sonore di Maurizio Camilli. Opera d’avanguardia nata per distruggere le tradizioni, “La sagra della primavera” , nella rilettura di Balletto Civile diventa rappresentazione di una generazione che attende obbligata allo stallo, osservata, spiata, pesata, vergine perché impossibilitata a fare da sola, una generazione che deve riappropriarsi del proprio tempo.
Balletto Civile si relaziona all’originale del 1913 solo per estrapolarne il cuore e farlo a pezzi, dando vita a un’azione coreografica in cui l’idea del sacrificio perpetrato dai “vecchi” ai danni dei “giovani” – come accadeva secondo la partitura stravinskiana, qui riproposta frammentata e manipolata con sonorità e brani contemporanei – si rovescia nel suo esatto contrario.
Stanchi di essere la generazione “di mezzo”, per la quale le possibilità sono finite e il futuro appare precluso, gli interpreti si lanciano in una danza forsennata in cui l’ansia di liberazione e la volontà di riscatto si mescolano a frustrazioni difficili da estirpare.
“La sagra”, come spiegano gli artisti di Balletto civile, «è un lavoro di gruppo, ma nella grande corsa si è perdutamente soli. Il corpo si sbilancia, cade nel desiderio di abbracciare tutto lo spazio “digeribile”, ci si abbraccia, ci si sposta un po’ violentemente, un po’ vio­lentati come per scuotersi, per rimanere svegli. Ci si incastra per rimanere in piedi, uomini e donne gli uni agli altri aggrappati per attraversare lo spazio come metafora della fatica che ci serve per svoltare, per corre­re fuori dalle stanze della mente nelle quali ci tengono confinati. Azioni precise, forti, furiose, velocissime». Ognuno perde forza ma solo per brevi attimi, subito rimesso in piedi dagli altri. Inaspettatamente spuntano le teste sotto le gambe dei compagni, ci si aggrappa, aggroviglia, si cammina sugli altri ma non è sopraffazione, è sostegno, urgenza, compassione. I corpi scivolano e cercano aria in vestiti troppo grandi, pantaloni e camicie di seconda mano, dei fratelli maggiori. Sotto, le nudità esili scoperte che si intravedono appena quando si va a testa in giù. “La Sagra” è il tempo interiore che si confonde, che si ferma, mescolata al resto dei suoni del mondo. Alla grande cacofonia. Un dj set per un discorso dissacrante su noi stessi in primo luogo. Dissacrare come reinventare un nuovo sacro, per noi il sacro è politica e necessità.

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