X
<
>

Condividi:
4 minuti per la lettura

di Fabio Amendolara

POTENZA – I due aspiranti boss erano arrivati in compagnia dei loro uomini. Era un giorno importante, quello, per i basilischi. Era il giorno del ricambio generazionale. E della riorganizzazione. Nello scantinato di una casa a Sant’Antonio La Macchia il vecchio boss, quel giorno, avrebbe ceduto il testimone. Una famiglia a Pignola e una a Potenza. Il territorio, da quando il boss dei basilischi Gino Cosentino, inteso “Faccia d’angelo”, si è pentito, se lo sono diviso così. La ’ndrina, così in Calabria chiamano la famiglia, di Pignola, con a capo Saverio Riviezzi. E quella di Potenza, con a capo Antonio Cossidente, il boss della Calcio connection.
Gli investigatori della procura antimafia sono partiti dai racconti di Gino Cosentino. E sono arrivati agli arresti, eseguiti ieri mattina all’alba dagli agenti della Squadra mobile di Potenza e dai carabinieri del nucleo investigativo.
Saverio Riviezzi, 45 anni, è indicato dagli investigatori come il capo della famiglia di Pignola, Domenico Riviezzi, 37 anni, è il fratello del boss, Nicola Sarli, detto “chassis”, 40 anni, è di Abriola, Angelo Quaratino, 29 anni, falegname, si occupava dei rifornimenti di cocaina.
Per gli investigatori – l’inchiesta è stata coordinata dal sostituto procuratore antimafia Francesco Basentini – sono «un’associazione a delinquere di stampo mafioso». Il controllo economico e le richieste estorsive agli imprenditori. Il controllo dei servizi di sicurezza, la cosiddetta «guardiania», nei locali pubblici e nelle discoteche. La gestione del mercato degli stupefacenti, soprattutto cocaina.
Antonio Cossidente, 45 anni, è «il capo, l’organizzatore e il promotore» dell’associazione «di stampo mafioso» che operava a Potenza, Carmine Campanella, 46 anni, di Potenza, prima del suo arresto, per conto del boss, si occupava di stupefacenti, Numida Leonardo Stolfi, 45 anni, di Potenza, è un appassionato di caccia risultato positivo alla prova del guanto di paraffina la notte dell’omicidio dei coniugi Gianfredi (avvenuto il 29 aprile del 1997 in località Parco Aurora a Potenza), Franco Rufrano, 44 anni, di Potenza, è considerato il braccio destro del boss. Vincenzo Barra, 41 anni, di Potenza, era l’armiere del gruppo, Savino Giannizzari, 44 anni, è detenuto in in 41 bis, il regime di carcere duro, per l’inchiesta sui bodyguard.
Loro, a Potenza, secondo gli investigatori, «controllavano anche alcuni amministratori pubblici del Comune» in quota Udeur, ai quali in cambio di soldi e prestazioni professionali garantivano «l’appoggio e i voti dell’organizzazione».
Imponevano i servizi di sicurezza nei locali pubblici. E gestivano il mercato degli stupefacenti.
Nel corso dell’inchiesta, secondo il giudice per le indagini preliminari Luigi Spina, che ha firmato l’ordinanza d’arresto per i dieci indagati, «sono emersi concreti riscontri che nei territori di Potenza e Pignola si erano creati due distinti sodalizi mafiosi, cellule nate dalla comune appartenenza alla famiglia dei basilischi, operanti in piena autonomia e, fino a un certo momento, nel rispetto di un apparente equilibrio destinato, dopo qualche anno, a spezzarsi parzialmente ma inesorabilmente». C’è stato un evento che ha «scatenato la rottura e il conseguente contrasto tra i due gruppi»: la manifestazione di Cossidente «dei primi sintomi di una possibile collaborazione con le forze dell’ordine». La circostanza «si è verificata – scrive il gip – a seguito di una serie di contatti tra Cossidente e un agente del Sisde, nell’ambito dei quali era emersa in modo chiaro la circostanza che Cossidente aveva mantenuto un ruolo di confidente segreto dell’agente, raccontando e delineando lo scenario della criminalità in Basilicata». Cossidente, però, non ha mai formalizzato la collaborazione con la giustizia. «Ciò nonostante – scrive il gip – i segnali potenzialmente collaborativi di Cossidente hanno allarmato tutti coloro che fino a quel momento lo avevano sostenuto». Ed è in quel momento che si è creata la frattura. Lo racconta agli investigatori Donato Caggiano, collaboratore di giustizia: «Tra Pignola e Potenza ci sono problemi, cioè, tra Riviezzi e Cossidente… perché si accusano a vicenda… qualcuno dei due ha collaborato e Riviezzi ha cacciato proprio delle carte processuali che riguardano Cossidente… ha fatto vedere queste carte processuali… e poi camminano armati, perché hanno paura… secondo me fra un po’ succede qualcosa… le persone che sparano ci sono… fra un po’ succede qualcosa… che uccidono a qualcuno. O a Cossidente o ammazzano a Riviezzi. Uno dei due salta». Tante cose, poi, sono cambiate. Cossidente si è dedicato al pallone. Riviezzi si è ritirato a Pignola. Affari e soldi ce n’erano e per tutti. E il livello dello scontro si è abbassato. E poi, Cossidente, a telefono, aveva spiegato a Riviezzi: «La verità verrà a galla… il tempo è galantuomo».

Condividi:

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

EDICOLA DIGITALE