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di LUIGI LOMBARDI SATRIANI
Oggi, martedì, si celebra il culmine del Carnevale. I nostri centri, grandi o piccoli che siano, sono affollati da maschere; da cortei con carri allegorici più o meno articolati e complessi; da innumerevoli manifestazioni che rinviano a eccessi, prevalentemente gastronomici, a trasgressioni, prevalentemente linguistiche. Il Carnevale aveva nelle società tradizionali un ruolo centrale, data l’essenzialità in esse della dialettica norma-trasgressione, della creazione di uno spazio in cui l’assetto normativo della vita associata venisse, in un ambito temporale ben delimitato, ribaltato, per poter essere di nuovo fissato con rigidità con il ritorno alla quotidianità. Con le trasformazioni della società contemporanea la situazione è notevolmente mutata, ma non in ogni realtà, non con le stesse modalità. Nella mia esperienza intellettuale, e ancora e ancora più decisivamente nella mia memoria, il Carnevale si associa alle forme rituali con le quali si svolgeva a S. Costantino di Briatico, mio paese natale e centro fondante dei miei affetti. Il corteo di Carnevale, il suo funerale parodistico, l’orazione funebre sulla sua salma (prima una persona, poi un fantoccio) pronunciata da Grazioso Garrì – autore di un suggestivo poema sulla sua figura e i sui suoi eccessi alimentari, oggi opportunamente ristampato dal figlio Giuseppe – il bruciamento finale del fantoccio cadenzavano la vita del paese, segnandone l’orizzonte simbolico. In questi ultimi anni, tali modalità sono state riprese nell’ambito di queste comunità, rendendo evidente la loro forte carica di aggregazione e coinvolgimento. In Puglia la tradizione carnevalesca ha ancora salde radici e lo splendido Carnevale di Putignano ne è, accanto ad altre manifestazioni presenti in centri della regione, significativa testimonianza. Non è un caso che proprio a Putignano nel febbraio dello scorso anno si sia svolto per iniziativa di Pietro Sisto e del Comune un convegno sul Carnevale al quale hanno partecipato molti dei maggiori studiosi italiani e di altri Paesi che lo hanno indagato, ovviamente ognuno dal proprio punto di vista, da diversi angoli problematici. Gli atti del convegno, dal titolo Il Carnevale e il Mediterraneo. Tradizioni, riti e maschere del Mezzogiorno d’Italia, editi a cura di Pietro Sisto e Piero Totaro dalla Casa Editrice Progedit di Bari, sono stati qualche giorno fa da me presentati nella città pugliese; occasione, questa, per riflettere su un volume che si pone come un essenziale punto di riferimento per chiunque voglia studiare la fenomenologia del Carnevale nei diversi ambiti territoriali e temporali, nelle diverse implicazioni teorico-metodologiche, nelle decisive trasformazioni che va assumendo nella realtà contemporanea. Abbiamo così puntuali ricostruzioni antropologiche e storiografiche delle manifestazioni carnevalesche in Puglia -Putignano (Pietro Sisto), Bari (Anna Maria Tripputi), San Mauro Forte (Francesco Marano) – ma anche accurate analisi del Carnevale in altre aree italiane, come, in Molise, a Castelnuovo al Volturno (Vincenzo E. Spera); in Calabria, a Cervicati (Ottavio Cavalcanti); in Sicilia (Ignazio E. Buttitta); in Sardegna (Mario Atzori e Maria Margherita Satta) o in altre aree geografiche europee, quali il rituale del “cammello” nell’Egeo nord-orientale, in Tracia e a Lesbo (Theodore Grammatas). Anche l’antichità è stata al centro della riflessione degli studiosi; così, ad esempio, vengono restituiti i tratti essenziali del carnevale nella Roma papale (Martine Boiteux), nella Grecia antica (Bernhard Zimmermann), mentre non mancano riflessioni di carattere più generale tese a delineare, a partire dal Carnevale, un’antropologia del comico (Domenico Scafoglio). Altre direzioni problematiche vengono percorse da studiosi a partire dai propri interessi scientifici prevalenti; così l’attuale problematica dei patrimoni immateriali e dei musei (Ferdinando Mirizi), gli scritti seicenteschi sul tarantismo (Eugenio Imbriani), il “Carnevale dell’orso” (Claudio Corvino). I contributi specifici allo studio del Carnevale di Giovan Battista Bronzini sono stati oggetto di un omaggio critico nell’analisi di un passo ovidiano (Pietro Totaro), mentre la sua figura di studioso e di docente è stata rievocata nei suoi tratti essenziali, con commozione e rigore, da Vera di Natale e Grazia Distaso. Un libro siffatto – lo si è già accennato – costituirà un punto di riferimento per i futuri studi e difficilmente si potrà prescindere da una riflessione sulle trasformazioni attuali del Carnevale. Tali trasformazioni, sono oggetto, nel volume, di suggestive considerazioni critiche di Marxiano Melotti, con puntuali riferimenti alle trasmissioni televisive sia delle emittenti commerciali che di quelle pubbliche, sostanzialmente omologate. Lo studioso dell’Università milanese di Bicocca nota come “lo spazio televisivo carnevalizzato diventi il modello del Carnevale, che quindi conformemente a una logica della nuova società mediatica e digitale dell’autenticità relativa, si costruisce paradossalmente sulla propria immagine, finendo così per perdere il contatto tanto con la propria tradizione quanto con la realtà – non virtuale, non mediatica – della vita quotidiana, ai cui problemi dovrebbe in teoria dare espressione. […] Per una società perennemente in festa è chiaro che il Carnevale non ha più senso, o meglio, ha un senso necessariamente diverso da quello che aveva in passato”. Alla carnevalizzazione della vita ha fatto riferimento anche il mio contributo, che cito soltanto per completezza di recensore. Va tenuto presente infatti che le ragioni profonde del Carnevale, le pulsioni più sotterranee e le istanze di libertà in esso sottese ancora oggi svolgono la loro funzione. Non possiamo ignorare, però, che l’esistenza sociale, i suoi ritmi, i ruoli di genere e tutti gli altri che tramano le relazioni interpersonali, le modalità concrete di esistenza sono radicalmente mutate, per cui sembra che oggi vi sia sempre meno bisogno di Carnevale. Al suo posto assistiamo, invece, con segno radicalmente invertito, a sempre più intensi processi di carnevalizzazione della vita, che marcano nettamente la nostra temperie culturale e politica. Tale carnevalizzazione rinvia e testimonia alcuni temi di fondo della nostra società contemporanea. Tra questi, la fatuità e l’eccesso quali cifre del comportamento pubblico, l’apparire come segnale indiscutibile del successo sociale, lo scherzo (le famigerate, beffarde barzellette, pronunciate anche in occasioni istituzionali dal presidente del Consiglio), vissuto come sicuro tratto di disinvoltura e padronanza delle situazioni, e così via. Una carnevalizzazione siffatta si svolge non nel segno della trasgressione reale, ma in quella della banalizzazione conformistica, per cui appare fittiziamente esaltato un Carnevale sostanzialmente tradito nelle sue istanze più profonde. Quanto più clounewsca la sfera pubblica, tanto più carnevalizzata la vita sociale. La finzione e la fatuità possono celebrare così il loro indiscutibile trionfo.

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