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Venezia è come mangiare un’intera scatola di cioccolata al liquore in una sola volta. (Truman Capote)

Dopo un viaggio Via Crucis, con annesse stazioni in oscuri loci tra Calabria, Basilicata e Campania, nove ore circa da Bisanzio* a Roma (partenza alle 14.38 con arrivo a Roma alle 22.20) sono giunta nella capitale, dove, il tempo di fare una pipì, come usa dirsi,  e sono ripartita direzione Venezia.  Ivi giunta il signore dei tempi mi ha regalato tre giorni di sole. In laguna. Sono riuscita a fare tutto.  Comunione in provincia, ad alto tasso d’improbabilità vestiaria, avvistata giacca nera damascata su tipo mechato dio biondo, tanto per dirne una. Sorvolando sull’eccessivo numero di cosciotti in calza color carne.  E ancora.

 Baccalà mantecato  davanti al Canal Grande,  sarde in saor con vista dal Rialto, Klimt e i secessionisti (viennesi  e non padani, che manco  qui si vedono più,  i verdi col dito medio alzato)  a palazzo Correr, spritz seduti al Florian con musica in sottofondo (12 euro per il disturbo solo degli orchestranti), un caffè all’Harry’s Bar (che fa tanto Hemingway), passeggiata con vista sui tetti della città, una foto con i  leoni,  mollichine ai piccioni. Comprato tuba, in vera lana con fascia di raso. Preso vaporetto, spiato dentro le gondole. Invidiati certi balconi. Gli americani spensierati. I crocieristi senza paura.  Le lezioni di yiddish al Ghetto. Il parco San Giuliano. 
L’umido ammoscia capelli. Il caffè della sposa a sestiere Cannaregio, e la delizia cremina.  Le vesciche ai piedi. La cena di lavoro a Mestre con Maurizio.  Idee smart in salsa condivisa.  Il navigatore fuso e i suoi accenti impossibili. I cinesi dell’albergo e la loro “acqua blillante Lecoalo?”, a proposito l’Italia la stiamo svendendo al prezzo di un paio di collant e un mazzo di lavoro alla Cina.  I tweet da leggere e inviare (adddoro far rosicare), Fb da controllare, che si viaggia connessi noi.
E poi di nuovo in macchina, direzione famiglia. Quasi casa, quasi amore. Parma. Nanà, Dess  fratellone e Vale. Cibus. Tisca Tusca Topolino. Gnocco fritto e prosciutto di Parma. Che mentre le signorine tutte -linea se morono de fame a botte d’insalata e bresaola,  Dukan docet, io magno. Me frego, rotolo felice. Di golosità in specialità. Che tanto la prova costume è uno stato mentale.
 Non il mio, temo.  Ma non finisce qui. Mi rimetto in moto. Mi aspetta un bicerin e volendo anche ‘na bagna cauda.
 Ma soprattutto libri. Libri e libri. Cose da Salone. A Torino.  Città di streghe. Io ci arrivo tuba in testa. 

ps *Bisanzio chi mi conosce sa di cosa parlo, per gli altri è il nomignolo che ho affibbiato a casa mia. Luogo di partenza

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