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Negli ultimi due secoli, in un simbolico percorso iniziato dalla Rivoluzione Francese e finito con la caduta del Muro di Berlino, sono state certamente le lotte sociali e i conflitti di classe il motore principale delle trasformazioni collettive, ed in molti casi del progresso delle nazioni, sia nel mondo occidentale, sia in quello orientale. Nel nostro tempo, all’inizio di un nuovo millennio, non è affatto chiaro chi e cosa veramente determini il cambiamento e il progresso sociale. Nonostante alcune battaglie sociali sono ovviamente tuttora attive, in questi ultimi anni sono molto più deboli che in passato e a volte del tutto assenti seppure utili. Il loro fattore di trasformazione sembra essere in difficoltà pur in presenza dei grandi problemi che stiamo tutti vivendo.

Oggi, forse le cause prime di trasformazione sociale sono la tecnologia e il mercato finanziario planetario guidato dalle grandi potenze economiche, siano esse industriali o finanziarie. Le lotte sociali hanno ceduto il passo al tecnicismo e alla finanza e i rappresentanti sociali e politici non sanno esprimere strategie e politiche che sappiano governare la tecnologia e condizionare la finanza che, come notava Pasolini, pensano allo sviluppo e non al progresso. Con una notevole differenza tra i due termini che vede il primo (lo sviluppo) essenzialmente volto al profitto, mentre il secondo (il progresso) considera come valore primario il benessere sociale.

In questo scenario, la massa, quella che qualcuno un tempo, in maniera sprezzante, chiamava il “popolino”, torna ad avere soltanto il ruolo di collettore e di oggetto inconsapevole di processi di cambiamento decisi e guidati da pochi che hanno la forza economica, politica e tecnologica per tracciare il futuro di tutti. Il vecchio Eric Hobsbawm di recente ha teorizzato che il plusvalore oggi non lo creano più tanto gli operai ma i consumatori digitali che usando Internet “lavorano” gratuitamente per i produttori e dunque pagano con il loro tempo e le loro attività di utenti delle nuove tecnologie dell’informazione, il costo della realizzazione dei servizi che Internet fornisce loro, generando profitto per i nuovi padroni del vapore digitale.

Come epifenomeno di questa evoluzione, o involuzione, i paesi avanzati che compongono il “primo mondo” ricco sono abitati per gran parte da un nuovo popolino tecnologicamente evoluto che si circonda di oggetti digitali dei quali spesso fa un uso naif o addirittura dannoso. Un popolino digitale che non è cosciente del suo status di avventore in un mercato globale, il quale, fornendogli beni sempre nuovi, gli ruba l’anima e il reale benessere e non gli fornisce il sapere necessario per sfruttare questi potenti strumenti per migliorare realmente la qualità della loro vita.

Questo scenario domanda una nuova coscienza tecnologica che i padroni delle tecnologie non hanno interesse a fornire, ma senza la quale i cittadini rischiano di divenire i nuovi proletari della società della conoscenza con la sola capacità di generare nuova prole costretta a consumare inconsapevolmente dosi sempre maggiori di tecnologie al solo scopo di sviluppo e non di progresso, di consumo e non di benessere.

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