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“Morire di maggio, ci vuole tanto, troppo coraggio” cantava Fabrizio De Andrè, a morire di novembre, non ce n’è voluto molto, invece.

Vivere da stranieri in terra straniera. Morire da braccianti schiacciati da un treno alla fine di una giornata di lavoro.Il più grande aveva 41 anni, la più giovane 22. Non fosse stata per l’ignominiosa lite tra becchini, argomento principe di conversazione, la vicenda sarebbe stata derubricata ancora prima.
E’ lunedì, sono morti sabato. Ma già praticamente non se li ricorda più nessuno. Del resto dal “sono morte sei persone” al “sono morti sei romeni”, il passo è stato breve. E tutta lì la differenza. Tra la nostra empatia e l’indifferenza, fatto salvo il “povaredd, cchì brutta fine”
Sul posto, il fatidico cancello azzuro cielo terso, che divide la strada dalla ferrovia, la vita dalla morte, a un passo da quella che consideravano casa, qualche lumino, solo la sera di domenica, verso le sette, l’interprete e due fiorai (romeni) di Corigliano, portano sei mazzi di fiori. Con nastri viola, il colore della morte è lo stesso ovunque. Davanti a quel cancello, domenica sera, solo romeni. Stretti tra loro. Stretti nel loro disagio, nelle loro vite complesse. Ostili a chi gli è ostile.”Morire di maggio, ci vuole tanto, troppo coraggio” cantava Fabrizio De Andrè, a morire di novembre, non ce n’è voluto molto, invece.”Morire di maggio, ci vuole tanto, troppo coraggio” cantava Fabrizio De Andrè, a morire di novembre, non ce n’è voluto molto, invece.

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