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tà sufficiente a ricordare quando, alle nostre latitudini, molti usavano portare l’urina, per le analisi cliniche, nelle bottigliette dei succhi di frutta. Non ricordo, e non oso sforzarmi, dove venisse portato il resto. Il risultato era spesso: una elevata incidenza di iperglicemie nelle statistiche sanitarie.
Non so perché questa immagine mi torna in mente ogni volta che provo a pensare al superamento del rapporto di lavoro salariato; o meglio: ogni volta che provo a pensare all’uscita della crisi economica attuale – che è crisi finanziaria – poiché, a opinione di molti economisti progressisti essa si supera con, appunto la messa in disparte dei rapporti di scambio monetari, dei rapporti capitalistici*, primo fra tutti – appunto – quello tra lavoro e salario. E poiché non riesco a figurami nulla che possa sostituire il denaro per remunerare il lavoro – nulla che non sia altro lavoro – mi viene in mente solo il baratto: lo scambio, tra loro, di cose materiale e immateriali. Come patate per un orologio da polso o l’insegnamento della capacità di produrle da sé in cambio di un biglietto per Torino-Juve. La vedo dura, anche se – devo dire – mi dispiace molto non poter “piazzare” così i miei cavolfiori, le coccinelle e i peperoncini.
E la vedo ancora più dura, non so perché, sul fronte sanitario, che è la prima cosa che mi salta in testa – sarà la senilità che incombe – ogni volta che penso alla ipotetica fine del denaro (il mio). Se il sistema del welfare e tutto il sistema della spesa pubblica nazionale continueranno a subire le “riforme” degli ultimi anni (con addirittura il pareggio di bilancio assurto a legge costituzionale) sarà difficile scambiare uova fresche con l’asportazione di una cisti di Baker.
Ah: ecco perché quando ragiono su queste possibilità mi vengono sempre in mente quelle anziane signore vestite di nero che, nella sala d’aspetto del medico condotto, in una mano tengono il fagotto con succo di frutta e nell’altra quello con le uova, se son con tutta la gallina.
No: in effetti, mi sa che oggi non funzionerebbe. E dobbiamo perciò tenerci la moneta e la sua dittatura.

*Al di là dell’ironia, nei giorni scorsi sul tema ho letto un libretto che vale la pena segnalare: “Ancora Keynes?! Miseria o nuovo sviluppo?” del mio professore di economia marxista, Giovanni Mazzetti (pubblicato da Asterios). L’invito di Mazzetti è di affrontare la crisi liberi dagli schemi mentali che da un paio di secoli condizionano le nostre scelte. Nel frattempo che queste nuova weltanschauung ci pervada intimamente, si potrebbe provare con la riduzione dell’orario di lavoro, a parità di salario. 
Allora c’è speranza!

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