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In questa Italia travolta dalla crisi, la laurea è sempre più un pezzo di carta di scarso valore. I dati della ricerca ISTAT sull’occupazione dei laureati italiani sono sconfortanti e raccontano di un Paese che ignora e usa sempre meno la cultura e le conoscenze dei suoi giovani laureati.

Nell’Italia del dopoguerra, i fratelli Capone (in arte Totò e Peppino) sapevano quanto fosse importante studiare e laurearsi. Per questa ragione nella loro accorata e simpaticissima lettera alla fidanzata “malafemmina” del loro carissimo nipote, avevano sentito la necessità di scrivere che “il giovanotto è studente che studia che si deve prendere una laura che deve tenere la testa al solito posto cioè sul collo.;.;“. Oggi forse non scriverebbero più quella frase, scoraggiati dal fatto che nel 2012 i giovani laureati con meno di 35 anni in cerca di un lavoro sono 200 mila, il 28% in più di quelli del 2011 e circa il 43% in più di quelli del 2008. Di questi, 125 mila sono giovani donne mentre i giovani laureati disoccupati meridionali sono quasi 90 mila (45 mila al Centro e 65 mila al Nord).

A leggere questi numeri non c’è alcuna ragione per stare allegri. L’unico dato positivo è che il tasso di disoccupazione dei laureati tra i giovani è del 14,7%, quindi meno peggio rispetto ai loro coetanei disoccupati che si sono fermati alle elementari (24,9%), alle medie (24,8%) o al diploma (18,9%).

Tuttavia, mentre l’Italia sprofonda in un crisi di portata epocale, chi ha in mano le sorti del Paese non riesce a trovare un modo per sfruttare le competenze di maggior valore che vengono dal mondo giovanile.  Quelle delle centinaia di migliaia di laureati che potrebbero fare molto per aiutare lo sviluppo della nostra società ormai impantanata e invece sono mantenuti inattivi e da risorsa sono diventati un peso sociale, dopo che per la loro formazione si sono spesi tanti soldi dei cittadini.

Quanto ci vorrà perché qualcuno si decida ad investire un po’ di soldi pubblici o privati per far fruttare questo enorme capitale umano e di competenze? Per farlo diventare uno strumento di produzione di valore e non uno spreco di sapere e di giovani esistenze?

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