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Io sono calabrese. Anzi di più, sono una femmina calabrese. Femmina in quanto genere, che ieri una mamma armata di smartphone e poca confidenza con l’italiano si è offesa a sentir tale parola. 
Quando sono nata, nei lontani anni ’70, mia madre si stracciò le vesti.
Prima di lei lo fece mia nonna, che di femmine al mondo ne mise due (poi arrivarono  i maschi, anche loro in numero di due, a compensare le inutili donne). 
Prima ancora di mia madre e mia nonna, a versare lacrime amare sul  suo letto casalingo da partoriente, fu la mia bisnonna, che procreò una sola volta, quindi neanche potè riparare all’onta di aver generato solo e semplicemente una femmina. 
Prima di lei, ovvio, piansero la trisavola e così fino alla notte dei tempi. 
Da Eva in giù diciamo, almeno in Calabria. E in Cina, anche lì le femmine non sono ben viste. 
Mia nonna Teresa, bionda, fiera e senza scura peluria sul labbro, rimase orfana di padre piuttosto presto, per cui crebbe tra donne.  Motivo per cui iniziò a parlare (ancora oggi a 90 anni suonati non si è riusciti a farla tacere), studiò anche. Un caso unico e raro in questa Calabria preistorica. Se non fosse stato per quel piccolo problema con il fascismo, la guerra, l’Italia da ricostruire, probabilmente le avrebbero tolto lo status di appartenente alla regione. L’avrebbero fatta risultare, chessò, veneta. O qualcosa di simile. 
Mia madre e mia zia negli anni tra la fine del 60’e  inizi ’70 si mettevano le minigonne, uscivano con gli amici e, tremate tremate, studiavano. Ebbero anche la possibilità di andare all’Università. Nella lontana Padova.
 Cose dell’altro mondo, cose di cui io, ancora oggi, mi vergogno. Ovviamente la colpa fu di essere state messe al mondo da cotanta madre e da quel comunista di mio nonno. 
Che poi, dico io, non potevano essere quei due lo stereotipo tipico? Lui democristiano bigotto e lei fazzoletto in testa a camminargli un passo indietro? Macchè, niente. Bionda, occhi azzurri rossetto rosso e lingua lunga. Una perfetta ariana. Di Longobucco, che chi sa, capisce. Poi mi dicono da chi son presa, io.
 Il nonno poi. Lasciam stare. Mai una scudisciata a ‘sti figli, mai che li abbia obbligati a sposare qualcuno. Niente, li lasciva addirittura parlare al desco.  
Certo, prima son nate le femmine, cose che le ha obbligate mia madre, mia zia e anche i miei zii ad andare tutti in processione dal povero Santo Francesco (di Paola) che con tutti i pensieri che tiene pure di questo si doveva preoccupare. Andarono a pregarlo e  a rendergli omaggio, prostate, affinchè arrivassero ‘sti benedetti figli maschi a ristabilire l’onore della famiglia. 
Poi ci sono io, e le mie cugine, tante e femmine (sì ci sono anche dei maschi, è vero).  Ho studiato, poco e male, ma l’ho fatto, convivo (scostumata e sfacciata) e tornare in Calabria, ora ne sono fuori ma per altri motivi, cose d’amore, mi ha salvato la vita.
Gianluca NIcoletti sul twitter mi ha detto che sono una #socialbuonista. Che vuol dire esattamente non lo so. Forse in qualche modo pensava di sminuire il mio pensiero dileggiandolo. Forse perché a differenza di quella manager “costretta” a scappare e che sul Corsera di oggi ha rinverdito i peggiori luoghi comuni sulla Calabria, mi sono permessa di voler rendere nota la mia diversa esperienza.  Poi ce n’è un altro che non “è rimasto sconvolto dall’accaduto” su un altro giornale di grande lettura. Ma ho finito la mia dose di confidenza giornaliera. 
Sull’efferato fatto di cronaca, che tutto questo ha scatenato nulla dirò. I fatti, nella loro crudezza, parlano da soli. E la colpa, che colpa non è, di sicuro non dipende dalla regione di provenienza.
 Giacchè la violenza sulle donne, è, purtroppo, fatto nazionale. 
Ps mia nonna è la discendente diretta del brigante Palma. Insomma siam calabresi, e che diamine.

Calabrisella mia, rosa d’amuri (canzone popolare)

 Io sono calabrese. Anzi di più, sono una femmina calabrese. Femmina in quanto genere, che ieri una mamma armata di smartphone e poca confidenza con l’italiano si è offesa a sentir tale parola. 
Quando sono nata, nei lontani anni ’70, mia madre si stracciò le vesti.Prima di lei lo fece mia nonna, che di femmine al mondo ne mise due (poi arrivarono  i maschi, anche loro in numero di due, a compensare le inutili donne). Prima ancora di mia madre e mia nonna, a versare lacrime amare sul  suo letto casalingo da partoriente, fu la mia bisnonna, che procreò una sola volta, quindi neanche potè riparare all’onta di aver generato solo e semplicemente una femmina. Prima di lei, ovvio, piansero la trisavola e così fino alla notte dei tempi. Da Eva in giù diciamo, almeno in Calabria. E in Cina, anche lì le femmine non sono ben viste.
Mia nonna Teresa, bionda, fiera e senza scura peluria sul labbro, rimase orfana di padre piuttosto presto, per cui crebbe tra donne.  Motivo per cui iniziò a parlare (ancora oggi a 90 anni suonati non si è riusciti a farla tacere), studiò anche. Un caso unico e raro in questa Calabria preistorica. Se non fosse stato per quel piccolo problema con il fascismo, la guerra, l’Italia da ricostruire, probabilmente le avrebbero tolto lo status di appartenente alla regione. L’avrebbero fatta risultare, chessò, veneta. O qualcosa di simile. Mia madre e mia zia negli anni tra la fine del 60’e  inizi ’70 si mettevano le minigonne, uscivano con gli amici e, tremate tremate, studiavano. Ebbero anche la possibilità di andare all’Università. Nella lontana Padova. Cose dell’altro mondo, cose di cui io, ancora oggi, mi vergogno. Ovviamente la colpa fu di essere state messe al mondo da cotanta madre e da quel comunista di mio nonno. Che poi, dico io, non potevano essere quei due lo stereotipo tipico? Lui democristiano bigotto e lei fazzoletto in testa a camminargli un passo indietro? Macchè, niente. Bionda, occhi azzurri rossetto rosso e lingua lunga, lei. Una perfetta ariana. Di Longobucco, che chi sa, capisce. Poi mi dicono da chi son presa, io.
Il nonno poi. Lasciam stare. Mai una scudisciata a ‘sti figli, mai che li abbia obbligati a sposare qualcuno. Niente, li lasciava addirittura parlare al desco.
La mia amica Annagiulia poi, altra femmina di Calabria, ha avuto una madre che ha lavorato fuori casa, la svergognata, e un meraviglioso padre che, addirittura e  all’uopo, lavava i piatti. Raccapriccio e brividi. 
Nacquero prima le femmine in casa mia, cosa che obbligò, mia nonna prima, poi  mia madre, mia zia  (anche i miei zii di genere maschile) ad andare tutti in processione dal povero Santo Francesco (di Paola) che con tutti i pensieri che tiene, pure di questo si doveva preoccupare. Andarono a pregarlo e  a rendergli omaggio, prostrate, affinchè arrivassero ‘sti benedetti figli maschi a ristabilire l’onore della famiglia. Di tutte le nostre famiglie. 
Poi ci siamo io,  le mie cugine, tante e femmine e le loro piccole e meravigliose bimbe.  Anche mio fratello ha procreato una stupenda cucciola di femmina, di cui sono zia madrina, finanche (sì ci sono anche dei maschi, è vero. E sono amati di un amore sincero e profondo).
Perchè come dice la mia amica Carla Monteforte: Nonostante tutto, speriamo ancora che sia femmina. 
Io ho studiato, poco e male, ma l’ho fatto, convivo (scostumata e sfacciata) e tornare in Calabria, ora ne sono fuori ma per altri motivi, cose d’amore, mi ha salvato la vita.
Gianluca NIcoletti (@melognicoletti) sul twitter mi ha detto che sono una #socialbuonista. Che vuol dire esattamente non lo so. Forse in qualche modo pensava di sminuire il mio pensiero dileggiandolo. Forse perché a differenza di quella manager “costretta” a scappare e che sul Corsera di oggi ha rinverdito i peggiori luoghi comuni sulla Calabria, mi sono permessa di voler rendere nota la mia diversa esperienza.  Poi ce n’è un altro che non “è rimasto sconvolto dall’accaduto” su un altro giornale di grande lettura. Ma ho finito la mia dose di confidenza giornaliera dedicata ai mentecatti. 
Sull’efferato fatto di cronaca, che tutto questo ha scatenato nulla dirò. I fatti, nella loro crudezza, parlano da soli. E la colpa, che colpa non è, di sicuro non dipende dalla regione di provenienza. Giacchè la violenza sulle donne, è, purtroppo, fatto nazionale.
Ps mia nonna è la discendente diretta del brigante Palma. Insomma siam calabresi, e che diamine.

 

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