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Confesso che ho acquistato “cambiamo tutto!“, l’ultimo libro di Riccardo Luna (Laterza, 2013), soprattutto per curiosità (chi fa ricerca di mestiere non sempre prova trasporto per i divulgatori) e poi perché sapevo che nel libro era citata una piccola opera di creatività calabrese che sta diventando una realtà industriale molto interessante. Però quando un libro l’hai acquistato non ti resta che leggerlo e quello che Luna ha scritto si legge con la stessa velocità e voglia di arrivare in fondo con cui si seguono le trame coinvolgenti che Camilleri costruisce con maestria attorno a Salvo Montalbano.

Il libro parla di innovazione e del ruolo di Internet nel rinnovamento delle vite delle persone e delle società. Gli esempi descritti nel libro raccontano di imprese innovative, di iniziative sociali nate dalla rete, di nuove modalità di fare ricerca scientifica, di innovazioni tecnologiche a basso costo per la didattica nella scuola italiana, di realizzazione prodotti che migliorano la vita di tanti. Moltissimi esempi reali e recenti, tutti molto interessanti e incoraggianti. Non tanto perché è facile avere successo con Internet (se qualcuno lo dice non credeteci), ma soprattutto perché la rete e le tecnologie aperte hanno permesso a molti giovani e anche a meno giovani, capaci e testardi, di realizzare i loro sogni e di avviare iniziative imprenditoriali create con pochi soldi ma capaci di suscitare interesse e vendite a livello mondiale.

Eppure tra i tanti fatti narrati dal “tecno-utopista” Luna nel suo libro (la definizione, non del tutto errata, è di Eugeny Morozov e a Luna sembra non piaccia molto), la cosa che più mi ha colpito e che mi piace riportare qui è il riferimento che il libro fa alla “teoria del fallimento” di Tim Harford: il fallimento come motore dell’innovazione. Una teoria che sostiene, credo a ragione, che per raggiungere un obiettivo si debba sbagliare, perché il successo spesso nasce da un fallimento, ma l’importante è non arrendersi. Per noi italiani, soprattutto a causa dell’educazione ricevuta, sbagliare vuol dire quasi sempre sentirsi un fallito, vergognarsi per gli errori commessi, per un risultato sfuggito. Al contrario, la tesi di Harford e di altri, ripresa da Luna, è che l’unico vero fallimento è non averci provato. Un risultato o un prodotto sbagliato è soltanto un esperimento che ci avvicina al risultato finale voluto. Questa tesi, dimostrata da tanti casi reali, credo sia un’ottima lezione per i giovani che hanno voglia di fare e che nel farlo non devono avere paura di sbagliare, perché se si sbaglia velocemente si avrà successo prima di quanto previsto.

Giustamente, Riccardo Luna, ci ricorda, citando Ennio Flaiano, che il pensiero prevalente in Italia è di condannare gli sconfitti per “accorrere in soccorso dei vincitori”. Dunque su questo terreno molta strada rimane ancora da fare fino a capire che “sbagliare ci aiuta ad innovare”. Anche per questa ragione, il libro andrebbe letto attentamente dai tanti ragazzi che hanno voglia e entusiasmo e che in questo libro possono trovare una sorgente di ispirazione per comprendere le potenzialità delle nuove tecnologie e per convincersi che la rete non serve soltanto a chattare su Facebook o a giocare online, ma può rappresentare per tanti di loro un ottimo strumento per facilitare la realizzazione delle loro idee e per guadagnarsi il futuro che qualcun altro gli sta togliendo.

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