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Si può dormire al cinema o, peggio, al teatro? Si può. E’ un diritto. Che si esercita come qualsiasi altra libertà democratica. A patto, però, che non si russi o si bofonchi con virulenza. A teorizzare il diritto di dormire in pubblico, sotto il velo della penombra, è stato Vincenzo Talarico, personaggio  felliniano avanti lettera a cui Antonio Panzanella e Santino Salerno, raffinati operatori culturali, hanno dedicato un gradevole volume, Vincenzo Talarico. “Un calabrese a Roma” (Rubbettino, 2007). Talarico, nato ad Acri il 1909 e morto a Fiuggi il 1972, fu giornalista, sceneggiatore, critico, expertise, affabulatore, perdigiorno creativo ed attore eccelso e sublime nella parte dell’avvocato trombone nelle anguste aule di tribunale. Rimase famosa la sua interpretazione nel film “Un giorno in pretura” del regista Steno nella quale faceva la parte del legale che difendeva un’esuberante fedifraga che aveva come amante il difensore del marito becco. Toga svolazzante, capigliatura alla mascagna con overdose di brillantina, dito puntato, sguardo solenne e imprendibile, eloquio imperiale, impianto retorico tendente al tragico. Insomma, una maschera asimmetrica di simpatia dalle cui pupille impazzite sprigionava un’acuta intelligenza. Vincenzo Talarico  fondò, senza brevettarlo, il Partito del Sonno. Nel senso che fece delle braccia di Morfeo l’apologia della tolleranza, ironico antidoto contro il perbenismo tartufesco con il quale  s’imbellettano  i cicisbei per mostrare il proprio vuoto estetico nel foyer di turno. Le stroncature degli spettacoli, secondo il Nostro, dovevano essere teorizzate, ovvero ostentate,  dormendo a teatro. Il sonno mercenario elevato a dignità culturale. Del sacrosanto diritto  di dormire a teatro se ne fece portavoce Ghigo De Chiara da cui, nella bella pubblicazione sponsorizzata dalle istituzioni calabresi più prossime all’originale Talarico, è tratto “Dormire forse sognare”.

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