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La felicità? Un buon sigaro, un buon pasto, una bella donna; o una donna cattiva. Dipende da quanta felicità siete in grado di maneggiare. (George Burns)
Il Calendario della Cornacchia (in attesa dell’Avvento) giorno 10 
A scanso di equivoci lo dichiaro subito, io sono felice.
Lo sono anche se vivo in affanno perenne, mi devo contare anche il singolo centesimo che spendo, non una casa mia (vivo da ospite, gradita e amata, ma ospite), rincorro ogni singola speranza di lavoro che incontro. Lo sono anche se sono forzosamente a dieta, peggio, sono in uno studio sperimentale dell’Università La Sapienza combinato con la facoltà di Scienze Motorie. Un’ansia che lasciamo stare va. Lo sono anche se a 42 anni (ora come per magia scorderete tutti questa cifra e ricorderete soltanto i 38 che solitamente dichiaro) dopo essermi illusa di aver trovato il lavoro della mia vita, mi sono ritrovata precaria. Ma anche di più. E dire che a 20 anni avevo un lavoro fisso, un ormai famigerato tempo indeterminato, uno stipendio sicuro, ferie e malattia pagate. Poi la vita gira come la ruota. Succedono cose. 
Non sono stata sempre felice, motivo per cui in tanti oggi si preoccupano per me. Ma oggi, ora, in questo istante, lo sono. Tranquilli, non è pippone elogiativo del vivere con poco, che con il molto si sta una palata. E sarà pure vero che anche i ricchi piangono, ma resta sempre meglio piangere da ricchi, che annaspare da poveri. E’ solo che la felicità è altro. Lepoardi, uno che di infelictà se n’è inteso nella vita sua dice che la felicità o infelicità non si misura dall’esterno ma dall’interno. Ecco, il mio interno è pacificato. Insomma, felicità non avere ciò che si vuole, ma volere ciò che si ha. E questo l’avrebbe detto Nietzesche. N’altro che l’allegria se la mangiava a colazione Poi sta arrivando Natale e no, non sono affatto più buona, ma resta il mio periodo perfetto dell’anno. Mi piacciono le luminarie, fare l’albero e il presepe, i regali, le cene, il panettone, la tombola e pure i parenti. Io, Simone, invece, complice il mio amico Francesco, da giorni canta solo questa. E avrei detto tutto. Cuando sono in questo stato di paciosa grazia solo il cioccolato può farmi darmi soddisfazione. Questa è una ricetta, facile, facile. Sono dei cupcake al cioccolato fondente (in attesa di quelli natalizi a cura di Mff) 
Ingredienti
 85 gr. di cioccolato fondente
 240 gr. di farina 00 
mezza bustina di lievito per dolci
mezzo cucchiaio di bicarbonato;
un pizzico di sale
120 gr. di burro
300 gr. di zucchero
2 uova grandi
vaniglia
 120 gr. di panna acida
120 ml di acqua.
 Setacciate la farina, il lievito, il bicarbonato e il sale in una ciotola. Fondete il cioccolato a bagno maria e lasciatelo intiepidire. Battete il burro con lo zucchero, quindi unite le uova una alla volta, il cioccolato fuso e la panna acida. Unite quindi il composto di farina e infine l’acqua a filo. Versate nelle formine e infornate a 180 gradi per venti minuti. Ci sarebbe anche la glassa, per le persone di buona volontà. E io, non lo sono.
Se penso a un libro legato a questo momento mi viene in mente Nick Hornby, con  “Come diventare buoni (Guanda editore). Parla di una famiglia, di una coppia inglese con figli e problemi, quindi vita normale. Lui, ad un certo punto, viene a contatto con un personaggio stravagante, un eufemismo, un frikkettone che si fa chiamare Dj BuoneNuove. Mettono insieme un progetto: cambiare il mondo attraverso buone azioni. Lei, medico di base e ospedaliero, non riesce più a capirlo, arriva anche addirittura a tradirlo non perché gli piaccia davvero un altro, ma solo per il gusto di fargli del male. Si, è stronza, ma deve essere dura convivere con uno con questa “missione”. Le cose non vanno bene, ma nelle difficoltà loro due si ritrovano, come coppia e come famiglia, proprio mentre sono sul baratro, si tengono sempre più stretti, uniti, come se ci fosse qualcuno aggrappato ad una corda che altrimenti finirà spiaccicato a terra. Forse è questo che amo del natale, del mio natale, quella di ritrovarsi. Veramente.
ps pigole/i picciaturi invidiosi delle altrui gioie, mo non vi scatenate (non è vero ma ci credo, ma ho scritto tutto il post facendo le corna, ‘na faticaccia de niente)

La felicità? Un buon sigaro, un buon pasto, una bella donna; o una donna cattiva. Dipende da quanta felicità siete in grado di maneggiare. (George Burns)

 

Il Calendario della Cornacchia (in attesa dell’Avvento) giorno 10

 A scanso di equivoci lo dichiaro subito, io sono felice.
Lo sono anche se vivo in affanno perenne, mi devo contare anche il singolo centesimo che spendo, non ho una casa mia (vivo da ospite, gradita e amata, ma ospite), rincorro ogni singola speranza di lavoro che incontro. Lo sono anche se sono forzosamente a dieta, peggio, sono in uno studio sperimentale dell’Università La Sapienza combinato con la facoltà di Scienze Motorie. Un’ansia che lasciamo stare va.
 Lo sono anche se a 42 anni (ora come per magia scorderete tutti questa cifra e ricorderete soltanto i 38 che solitamente dichiaro) dopo essermi illusa di aver trovato il lavoro della mia vita, mi sono ritrovata senza, precaria. Ma anche di più. E dire che a 20 anni avevo un lavoro fisso, un ormai famigerato tempo indeterminato, uno stipendio sicuro, ferie e malattia pagate. Poi la vita gira come la ruota. Succedono cose. 
Non sono stata sempre felice, motivo per cui in tanti oggi si preoccupano per me. Ma ora, in questo istante, lo sono.
 Tranquilli, non è pippone elogiativo del vivere con poco, del bicchiere di vino con il panino, che con il molto si sta una palata. E sarà pure vero che anche i ricchi piangono, ma resta sempre meglio piangere da ricchi, che annaspare da poveri.
E’ solo che la felicità è altro. Lepoardi, uno che di infelictà se n’è inteso nella vita sua dice che la felicità o infelicità non si misura dall’esterno ma dall’interno. Ecco, il mio interno è pacificato. Insomma, felicità non avere ciò che si vuole, ma volere ciò che si ha. E questo l’avrebbe detto Nietzesche. N’altro che l’allegria se la mangiava a colazione
Poi sta arrivando Natale e no, non sono affatto più buona, ma resta il mio periodo perfetto dell’anno. Mi piacciono le luminarie, fare l’albero e il presepe, i regali, le cene, il panettone, la tombola e pure i parenti. Simone, invece, complice il mio amico Francesco, da giorni canta solo questa. E avrei detto tutto.
 Quando sono in questo stato di paciosa grazia solo il cioccolato può darmi soddisfazione. Questa è una ricetta, facile, facile. Sono dei cupcake al cioccolato fondente (in attesa di quelli natalizi a cura di Mff)

 Ingredienti

 85 gr. di cioccolato fondente
 240 gr. di farina 00 
mezza bustina di lievito per dolci
mezzo cucchiaio di bicarbonato
un pizzico di sale
120 gr. di burro
300 gr. di zucchero
2 uova grandi
vaniglia
 120 gr. di panna acida
120 ml di acqua.
 Setacciate la farina, il lievito, il bicarbonato e il sale in una ciotola. Fondete il cioccolato a bagno maria e lasciatelo intiepidire. Battete il burro con lo zucchero, quindi unite le uova una alla volta, il cioccolato fuso e la panna acida. Unite quindi il composto di farina e infine l’acqua a filo. Versate nelle formine e infornate a 180 gradi per venti minuti. Ci sarebbe anche la glassa, per le persone di buona volontà. E io, non lo sono.

Se penso a un libro legato a questo momento mi viene in mente Nick Hornby, con  “Come diventare buoni” (Guanda editore). Parla di una famiglia, di una coppia inglese con figli e problemi, quindi vita normale. Lui, ad un certo punto, viene a contatto con un personaggio stravagante, un eufemismo, un frikkettone che si fa chiamare Dj BuoneNuove. Mettono insieme un progetto: cambiare il mondo attraverso buone azioni. Lei, medico di base e ospedaliero, non riesce più a capirlo, arriva anche addirittura a tradirlo non perché gli piaccia davvero un altro, ma solo per il gusto di fargli del male. Si, è stronza, ma deve essere dura convivere con uno con questa “missione”. Le cose non vanno bene, ma nelle difficoltà loro due si ritrovano, come coppia e come famiglia, proprio mentre sono sul baratro, si tengono sempre più stretti, uniti, come se ci fosse qualcuno aggrappato ad una corda che altrimenti finirà spiaccicato a terra. Forse è questo che amo del natale, del mio natale, quello di ritrovarsi. Veramente.

ps pigole/i picciature/e invidiosi delle altrui gioie, mo’ non vi scatenate (non è vero ma ci credo, ho scritto tutto il post facendo le corna, ‘na faticaccia de niente)

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