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Io non dimentico, archivio. @Barbarahammer1 
Io sono un divano. Uno di quelli comodi, un tre piazze, con me sdraiata, cuscinetto sotto la testa e copertina addosso. Temo di esserlo sempre stata. Credo di esserci nata. 
Il mio parto è stato complicato. Molto complicato. Segno evidente che il mondo fuori già mi incuteva un certo reverenziale timore. E ancora non avevo visto niente. Sono un divano asociale. Tre piazze, ma sopra ci sto sdraiata io. Solo io. vabbè da un po’ c’è anche Simo. Detesto gli assembramenti di gente. Le riunioni forzose di persone. I locali. I luoghi di ritrovo. Le discoteche. 
Odio la gente, pur amandone visceralmente alcune. Mi mette ansia, ansia tremenda, conoscere gente nuova. Gli incontri con semisconosciuti. Quando vedo su bacheche o timeline le foto di gente in gruppo che si diverte e ride o fa le facce buffe, di quelli che proprio si stanno divertendo un mondo, ma tanto tanto tanto, o le foto di eventi, penso: “Tu guarda che carini, ma quanta felicità a ufo”, poi mi tiro un po’ più su la copertina e mi sento al sicuro. 
Archiviata la fase adolescenziale e post tale, in cui uscire, fare cose, vedere gente era un obbligo morale e materiale, dentro di me ho sempre coltivato una nascosta tendenza all’isolamento. Eppure sono capacissima di frequentare il mio prossimo. Insomma, quando lo faccio. A volta capita anche io mi diverta. Ma sono anziana. Lo sono dentro, e un po’ anche fuori. Di quegli anziani anziani, non i tipi sprint da università e balera, ma quelli da poltrona e tv. 
Una volta sono stata depressa, clinicamente depressa. Mi diedero dei medicinali. Seguirono gli anni della massima socialità. Uscivo. Giocavo a squash. Ballavo. Andavo agli aperitivi. Rimorchiavo. Poi, per fortuna, sono tornata in me. 
Ho amiche cui voglio un bene matto e disperatissimo che non sento per lunghi periodi. Ma le porto con me, quindi immagino sia così anche per loro. Mi consola questo pensiero,che se io non le chiamo loro non è che si affannano. Esserci senza vedersi, senza la contiguità della presenza. Ma esserci. 
La mia ancora di salvezza in questo mio mondo autistico è Simo. Che ci sa fare con le persone. Ci sa molto fare. 
In apparente contraddizione con quanto scritto fino ad ora, o assolutamente in linea, sono di partenza. Vado a Milano, o peggio, a San Donato Milanese a dare una mano a una zia in difficoltà. A portare risate e leggerezza. La mia cinica e travolgente allegria.  Vado a trovare una persona cui voglio molto bene che sta soffrendo. Ma che guarirà. Con dolore e fatica. Ma guarirà. 
Ah, trovo che sia una bella cosa che la suora che ha partorito abbia capito di sentirsi più madre che suora e di volersi tenere il figlio. Al netto della facile pruderie, la vita non ha sempre percorsi lineari. Non è una retta via. Ci si smarrisce. Si va a vista. C’è gente che per tutta l’esistenza non scopre mai il suo io, la sua verità. E chi ci arriva soffrendo, dopo aver fatto scelte, non tutte facili, sbagliando. Ma rimettendosi in pari. Quindi caro Francesco, benvenuto e buona fortuna. Che per la gente del porto sarai sempre, Gesù Bambino 

Io non dimentico, archivio. (@Barbarahammer1)

Io sono un divano. Uno di quelli comodi, un tre piazze, con me sdraiata, cuscinetto sotto la testa e copertina addosso. Temo di esserlo sempre stata. Credo di esserci nata.
 Il mio parto è stato complicato. Molto complicato. Segno evidente che il mondo fuori già mi incuteva un certo reverenziale timore. E ancora non avevo visto niente.
Sono un divano asociale. Tre piazze, sì, ma sopra ci sto sdraiata io. Solo io. vabbè da un po’ c’è anche Simo.
Detesto gli assembramenti di gente. Le riunioni forzose di persone. I locali. I luoghi di ritrovo. Le discoteche. Odio la gente, pur amandone visceralmente alcune.
 Mi mette ansia, ansia tremenda, conoscere gente nuova. Gli incontri con semisconosciuti.
Quando vedo su bacheche o timeline le foto di gente in gruppo che si diverte e ride o fa le facce buffe, di quelli che proprio si stanno divertendo un mondo, ma tanto tanto tanto, o le foto di eventi, penso: “Tu guarda che carini, ma quanta felicità a ufo“, poi mi tiro un po’ più su la copertina e mi sento al sicuro.

 Archiviata la fase adolescenziale e post tale, in cui uscire, fare cose, vedere gente era un obbligo morale e materiale, dentro di me ho sempre coltivato una nascosta tendenza all’isolamento. Eppure sono capacissima di frequentare il mio prossimo. Insomma, quando lo faccio. A volta capita anche io mi diverta. 

Ma sono anziana. Lo sono dentro, e un po’ anche fuori. Di quegli anziani anziani, non i tipi sprint da università e balera, ma quelli da poltrona e tv.

 Una volta sono stata depressa, clinicamente depressa. Mi diedero dei medicinali. Seguirono gli anni della massima socialità. Uscivo. Giocavo a squash. Ballavo. Andavo agli aperitivi. Rimorchiavo. Poi, per fortuna, sono tornata in me. 

Ho amiche cui voglio un bene matto e disperatissimo che non sento per lunghi periodi. Ma le porto con me, quindi immagino sia così anche per loro. Mi consola questo pensiero,che se io non le chiamo loro non è che si affannano. Esserci senza vedersi, senza la contiguità della presenza. Ma esserci. 

La mia ancora di salvezza in questo mio mondo autistico è Simo. Che ci sa fare con le persone. Ci sa molto fare. 

In apparente contraddizione con quanto scritto fino ad ora, o assolutamente in linea, sono di partenza. Vado a Milano, o peggio, a San Donato Milanese a dare una mano a una zia in difficoltà. A portare risate e leggerezza. La mia cinica e travolgente allegria.  Vado a trovare una persona cui voglio molto bene che sta soffrendo. Ma che guarirà. Con dolore e fatica. Ma guarirà. 

Ah, trovo che sia una bella cosa che la suora che ha partorito abbia capito di sentirsi più madre che suora e di volersi tenere il figlio. Al netto della facile pruderie, la vita non ha sempre percorsi lineari. Non è una retta via. Ci si smarrisce. Si va a vista. C’è gente che per tutta l’esistenza non scopre mai il suo io, la sua verità. E chi ci arriva soffrendo, dopo aver fatto scelte, non tutte facili, sbagliando. Ma rimettendosi in pari.
Quindi, caro Francesco, benvenuto e buona fortuna. Che per la gente del porto sarai sempre, Gesù Bambino 

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