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Il cuore delle donne
lo trovate nelle loro borse
Il portafoglio
Le chiavi di casa di Rossano (sono a Roma)
La moleskine con Snoopy (love, love, love)
La ricevuta del versamento della quota del 2014 all’Ordine
Briciole di crackers o biscotti (ci vorrebbe un’autopsia per capire quale tipo di cibo ho ucciso e lasciato lì, sul fondo)
Monetine sparse
Tre biglietti di mostre viste: Botero a Parma, Capa e Impressionisti a Roma
Un T-Rex (di plastica, sono comunque una zia)
Un rossetto e un correttore
Una boccetta di Acqua di Parma
Una penna e un paio di pennarelli (cose da zia, come sopra)
Il disegno di Natale fattomi da Giovi (potere alle zie)
I plantari (mai senza)
Una bustina di Voltfast e un paio di Brufen (il terrore del mal di testa è più forte del dolore stesso)
Una vecchia pasticca di Xanax (in una tasca chiusa)
Scontrini vari
Ali di Batman (zia!zia!zia!)
Liquirizie Amarelli
Un ombrello
Un cd dei Beirut 
Un santino della Madonna e grani di un vecchio rosario 
Cuffiette per il cellulare
Guanti di pelle 
Il kindle
Occhiali da vista e occhiali da sole 
Il telefono no, quello se non ce l’ho in mano è in tasca. 
Ho appena mandato in scena il contenuto della mia borsa. Normalmente luogo segreto e inviolabile. 
Se è vero che il contenuto di una borsa svela la personalità di chi la possiede, la mia rivela che sono una ZIA adorante, una vanitosa ansiosa, una ipocondriaca che si atteggia a intellettuale, con un irrisolto dilemma con la religione ed evidenti problemi di postura. Insomma un’immagine edificante a tratti. Benché veritiera, almeno per sommi capi.
 Quando ero piccola mia madre non voleva che io e mio fratello frugassimo nella sua borsa. Siamo cresciuti convinti che fosse tipo quella di Mary Poppins, senza fondo, magica, una di quelle borse da cui può uscire fuori qualunque cosa. In effetti così era. Ho sempre avuto rispetto per le borse altrui,un reverenziale timore. Anche ora che posso guardare liberamente in quella di mia madre, lo faccio con un certo imbarazzo, pur avendo scoperto che ha un fondo e che sì, rischio di trovarci davvero qualunque cosa. Quello di scrivere sulle borse delle donne, sul loro contenuto, su cosa rappresentano ce l’ho in testa da un pezzo (pur essendo un tema abusato fino allo stremo) a farmelo tornare in mente un pezzo di Elasti nella sua rubrica su D di Repubblica. Prende spunto da un bellissimo cortometraggio, che vi piazzo qui, guardatelo. https://webshortfilms.wordpress.com/2012/08/21/emilie-muller-a-shortfilm-by-yvon-marciano/ Io lo uso a chiusura.
 E’ la storia di una giovane aspirante attrice, Emilie Muller che va a fare un provino. Arrivata nello studio cinematografico, il regista la fa sedere e le chiede di prendere la borsa e di parlarle di sé attraverso gli oggetti contenuti nella stessa. Emilie inizia allora a tirare fuori oggetto dopo oggetto e comincia a raccontare cosa rappresentano per lei. Ha una storia per ognuno. Una mela, regalo di un fruttivendolo al mercato, un giornali di annunci, un anello, troppo impegnativo per essere indossato, il diario, una cartolina dal Brasile, è di una amica suora che ha deciso di sposarsi, con un prete, una spilla da balia, la foto di un amico amato che dorme, quella della madre da giovane abbracciata a un uomo, un biglietto d’aereo, un Parigi – Nizza, che non sa se userà per paura di non tornare più, una tessera da donatrice di organi. Gli oggetti prendono vita attraverso le sue parole, gli occhi sognanti. Cita autori, scrittori. I suoi sono occhi che scoprono un tesoro. Il suo?
Passa un quarto d’ora, il provino finisce. L’attrice si alza e va via. La borsa però resta lì, attaccata all’attaccapanni. Il regista la nota, urla: “Ehi, la ragazza ha lasciato la borsa”, no, gli rispondono, non aveva borsa. Era quella dell’assistente di studio. 
Una storia, delicata, fatta di oggetti per una vita inventata. Immaginata. Squarci di esistenza creati ex novo. Un geniale inganno. Una poetica metafora della “falsità”. 
Un po’ come la mia borsa, che di me, come di qualunque donna, può dir tutto o nulla.
Emilie Müller ha ottenuto l’Oscar per il miglior cortometraggio nel 1994.
Hans Peter Feldmann, artista concettuale tedesco Serpentine Gallery, Londra la borsa appartiene a Oriane, di Berlino, 27 anni

Il portafoglio
Le chiavi di casa di Rossano (sono a Roma)
La moleskine con Snoopy (love, love, love)
La ricevuta del versamento della quota del 2014 all’Ordine
Briciole di crackers o biscotti (ci vorrebbe un’autopsia per capire quale tipo di cibo ho ucciso e lasciato lì, sul fondo)
Monetine sparse
Tre biglietti di mostre viste: Botero a Parma, Capa e Impressionisti a Roma
Un T-Rex (di plastica, sono comunque una zia)
Un rossetto e un correttore
Una boccetta di Acqua di Parma
Una penna e un paio di pennarelli (cose da zia, come sopra)
Il disegno di Natale fattomi da Giovi (potere alle zie)
I plantari (mai senza)
Una bustina di Voltfast e un paio di Brufen (il terrore del mal di testa è più forte del dolore stesso)
Una vecchia pasticca di Xanax (in una tasca chiusa)
Scontrini vari
Una garza con dei fiori di lavanda
Ali di Batman (zia!zia!zia!)
Morette all’arancia Amarelli
Un ombrello
Un cd dei Beirut
Un giornale di annunci di lavoro
Un santino della Madonna e grani di un vecchio rosario 
Cuffiette per il cellulare
Guanti di pelle 
Il kindle
Occhiali da vista e occhiali da sole 
Il telefono no, quello se non ce l’ho in mano è in tasca. 

Ho appena mandato in scena il contenuto della mia borsa. Normalmente luogo segreto e inviolabile. 

Se è vero che il contenuto di una borsa svela la personalità di chi la possiede, la mia rivela che sono: una ZIA adorante, una vanitosa ansiosa, una ipocondriaca che si atteggia a intellettuale, con un irrisolto dilemma con la religione ed evidenti problemi di postura. Insomma un’immagine edificante a tratti. Benché veritiera, almeno per sommi capi. 

Quando ero piccola mia madre non voleva che io e mio fratello frugassimo nella sua borsa. Siamo cresciuti convinti che fosse tipo quella di Mary Poppins, senza fondo, magica, una di quelle borse da cui può uscire fuori qualunque cosa. In effetti così era.
Ho sempre avuto rispetto per le borse altrui,un reverenziale timore. Anche ora che posso guardare liberamente in quella di mia madre, lo faccio con un certo imbarazzo, pur avendo scoperto che ha un fondo e che sì, rischio di trovarci davvero qualunque cosa. 

Quello di scrivere sulle borse delle donne, sul loro contenuto, su cosa rappresentano ce l’ho in testa da un pezzo (pur essendo un tema abusato fino allo stremo) a farmelo tornare in mente un pezzo di Elasti nella sua rubrica su D di Repubblica. Prende spunto da un bellissimo cortometraggio, che vi piazzo qui, guardatelo.
Io lo uso a chiusura. 

E’ la storia di una giovane aspirante attrice, Emilie Muller che va a fare un provino. Arrivata nello studio cinematografico, il regista la fa sedere e le chiede di prendere la borsa e di parlarle di sé attraverso gli oggetti contenuti nella stessa. Emilie inizia allora a tirare fuori oggetto dopo oggetto e comincia a raccontare cosa rappresentano per lei. Ha una storia per ognuno. Una mela, regalo di un fruttivendolo al mercato, un giornali di annunci, un anello, troppo impegnativo per essere indossato, il diario, una cartolina dal Brasile, è di una amica suora che ha deciso di sposarsi, con un prete, una spilla da balia, la foto di un amico amato che dorme, quella della madre da giovane abbracciata a un uomo, un biglietto d’aereo, un Parigi – Nizza, che non sa se userà per paura di non tornare più, una tessera da donatrice di organi.
Gli oggetti prendono vita attraverso le sue parole, gli occhi sognanti. Cita autori, scrittori. I suoi sono occhi che scoprono un tesoro. Il suo?
Passa un quarto d’ora, il provino finisce. L’attrice si alza e va via. La borsa però resta lì, attaccata all’attaccapanni. Il regista la nota, urla: “Ehi, la ragazza ha lasciato la borsa”, no, gli rispondono, non aveva borsa. Era quella dell’assistente di studio. 
Una storia, delicata, fatta di oggetti per una vita inventata. Immaginata. Squarci di esistenza creati ex novo. Un geniale inganno. Una poetica metafora della “falsità”. Un po’ come la mia borsa, che di me, come di qualunque donna, può dir tutto o nulla.

Emilie Müller ha ottenuto l’Oscar per il miglior cortometraggio nel 1994.

La foto è di Hans Peter Feldmann, artista concettuale tedesco che del contenuto delle borse delle sue amiche ha fatto una mostra alla Serpentine Gallery di Londra. La borsa fotografata appartiene a Oriane, di Berlino, 27 anni

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