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Aragosta a colazione 
Stamattina sul presto seduti sulle panchine del parco a cazzeggiare, ufficialmente io stavo riprendendo fiato dopo la sessione mattutina di allenamento e poi pensavo, c’eravamo io, per l’appunto, tre coppie composte da anziano più badante (due rumene e una peruviana), un anziano solo, una coppia di anziani e un giovane papà, probabilmente disoccupato, o in solidarietà o cassintegrato, insomma una qualunque di queste formule che a manco quarant’anni ti fanno sentire un fallito e ti spingono a pensare, una mattina sì e l’altra pure: “Ma io ‘ndo cazzo ho sbagliato nella vita mia?”, accompagnato da tenero figlioletto che appena mi ha visto mi ha detto: “Ciao signora, sono con il mio papà”. Al che ho sorriso e gli ho risposto che avevo visto e vedevo anche che si divertivano, il tutto mentre il giovin papà gli andava chiedendo cosa volesse mangiare a pranzo, e diceva a me: “Sa almeno intanto faccio il mammo”. E io in testa mia pensavo, ma fai bene e che poi ti vieni a giustificare con me che manco la scusa di fare la mamma ho, per stare al parco buttata su una panchina alle dieci del mattino. Comunque il piccolo Filippo ha deciso che voleva la pasta al sugo, per pranzo. 
“E’ questione d’equilibrio. 
Non è mica facile”. 
Già che c’ero e per darmi un tono ho comprato un paio di quotidiani, nazionali, che era almeno un mese che non ne leggevo uno e insomma nessuno se ne abbia a male, ma quanto meno le notizie in prima pagina le avevo già lette tutte, di alcune mi erano noti anche gli approfondimenti. Renzi – Merkel, Putin – Crimea, il suicido di L’Wren Scott, il Big -Bang e l’esecuzione mafiosa nel tarantino costata la vita a un bimbo di tre anni. Anche io che sono una giurassica tifosa del cartaceo per un momento ho vacillato nelle mie convinzioni. Ma poi è passato. Il momento. Le convinzioni sono traumatizzate e traballanti, ma ancora lì.
Comunque nel mentre mi trovavo in questo estatico momento di perfetto fancazzismo sotto al sole di marzo ho iniziato a pensare. Attività di per se già pericolosa in certi momenti assolutamente deleteria. Ho messo insieme due cose diverse che mi hanno portato allo stesso risultato di deprimermi fortemente. Ho ripensato a una scena da La mossa del pinguino, film caruccio senza troppe pretese ma con un suo perché, quando a un certo punto Edoardo Di Leo, il protagonista, spiega il perché finisca sempre con l’imbarcarsi in imprese assurde, tipo quella di mettere su una squadra di curling a Roma con altri tre scioperati, per andare alle Olimpiadi che è poi il plot del film. “Perché io devo pensare che c’è altro, perché la vita mia non po’ esse tutta co’ na scopa in mano a pulì. Ci deve essere qualcosa di più”. L’altra cosa che mi ha costretto a riflettere l’ha detta Ivano Fossati mentre sabato scorso a Libri Come presentava il suo romanzo d’esordio, o quasi, Tretrecinque (Einaudi editore) parlando del protagonista, il musicista Vic, lo descrive come uno spaventato dal suo stesso talento, da dove questo avrebbe potuto portarlo, della paura di mettersi in gioco, un cialtrone, uno che come il pensiero si elevava troppo, lo schiacciava lì in fondo alla mente, uno che non ha mai voluto volare alto, pur avendo a suo modo avuto successo. Ecco, qui ho avuto paura. E’ come se fossi io la cialtrona, a prescindere dall’oggettivo riconoscimento del “talento”. Io che  un paio di volte ho avuto la possibilità di spiccare il volo e invece ho serrato le ali al petto. Io che, sempre in quel famoso paio di occasioni, ho scelto di fare l’ape operaia, pur coltivando in cuore l’idea di essere una regina. Una prima della classe in pectore. Una da “Aragosta a colazione”, altro che cornetto e cappuccio. Io che butto via cose e poi rimesto nel torbido raccattando seconde occasioni. 
“Io non voglio crescere. 
Andate a farvi fottere”. 
In cuffia avevo i Baustelle. Sarà mica un caso.
Superato l’orlo della crisi di nervi da occasioni sprecate ho ricominciato l’allenamento, a vuoto, che il Gps non prendeva e Endomondo non mi ha segnato per quanti chilometri ho marciato. 
Mi sono goduta, il sole, l’aria, il tempo girato a vuoto.
Felice, nonostante tutto. 
“Non abbiate pietà. 
Una mazza da baseball. 
Quanto bene gli fa. Alleluja, Alleluja”.
Pensandoci bene potrei finire a vendere “Tulipani neri”. 

Stamattina sul presto seduti sulle panchine del parco a cazzeggiare, ufficialmente io stavo riprendendo fiato dopo la sessione mattutina di allenamento e poi pensavo, c’eravamo io, per l’appunto, tre coppie composte da anziano più badante (due rumene e una peruviana), un anziano solo, una coppia di anziani e un giovane papà, probabilmente disoccupato, o in solidarietà o cassintegrato, insomma una qualunque di queste formule che a manco quarant’anni ti fanno sentire un fallito e ti spingono a pensare, una mattina sì e l’altra pure: “Ma io ‘ndo cazzo ho sbagliato nella vita mia?“, accompagnato da tenero figlioletto che appena mi ha visto mi ha detto: “Ciao signora, sono con il mio papà“. 

Al che ho sorriso, anche se al “signora” già m’erano girate,  e gli ho risposto che avevo visto e vedevo anche che si divertivano, il tutto mentre il giovin papà gli andava chiedendo cosa volesse mangiare a pranzo, e diceva a me: “Sa almeno intanto faccio il mammo“. E io in testa mia pensavo, ma fai bene e che poi ti vieni a giustificare con me che manco la scusa di fare la mamma ho, per stare al parco buttata su una panchina alle dieci del mattino.
Comunque il piccolo Filippo ha deciso che voleva la pasta al sugo, per pranzo. 

E’ questione d’equilibrio. 
Non è mica facile
“.

 Già che c’ero e per darmi un tono ho comprato un paio di quotidiani, nazionali, che era almeno un mese che non ne leggevo uno e insomma nessuno se ne abbia a male, ma quanto meno le notizie in prima pagina le avevo già lette tutte, di alcune mi erano noti anche gli approfondimenti. Renzi – Merkel, Putin – Crimea, il suicido di L’Wren Scott, il Big -Bang e l’esecuzione mafiosa nel tarantino costata la vita a un bimbo di tre anni. Anche io che sono una giurassica tifosa del cartaceo per un momento ho vacillato nelle mie convinzioni. Ma poi è passato. Il momento. Le convinzioni sono traumatizzate e traballanti, ma ancora lì.

Comunque nel mentre mi trovavo in questo estatico momento di perfetto fancazzismo sotto al sole di marzo ho iniziato a pensare. Attività di per se già pericolosa in certi momenti assolutamente deleteria. Ho messo insieme due cose diverse che mi hanno portato allo stesso risultato di deprimermi fortemente. 

Ho ripensato a una scena da La mossa del pinguino, film caruccio senza troppe pretese ma con un suo perché, quando a un certo punto Edoardo Di Leo, il protagonista, spiega il perché finisca sempre con l’imbarcarsi in imprese assurde, tipo quella di mettere su una squadra di curling a Roma con altri tre scioperati, per andare alle Olimpiadi che è poi il plot del film. “Perché io devo pensare che c’è altro, perché la vita mia non po’ esse tutta co’ na scopa in mano a pulì. Ci deve essere qualcosa di più“. 

L’altra cosa che mi ha costretto a riflettere l’ha detta Ivano Fossati mentre sabato scorso a Libri Come presentava il suo romanzo d’esordio, o quasi, Tretrecinque (Einaudi editore) parlando del protagonista, il musicista Vic, lo descrive come uno spaventato dal suo stesso talento, da dove questo avrebbe potuto portarlo, della paura di mettersi in gioco, un cialtrone, uno che come il pensiero si elevava troppo, lo schiacciava lì in fondo alla mente, uno che non ha mai voluto volare alto, pur avendo a suo modo avuto successo.

 Ecco, qui ho avuto paura. E’ come se fossi io la cialtrona, a prescindere dall’oggettivo riconoscimento del “talento”. Io che  un paio di volte ho avuto la possibilità di spiccare il volo e invece ho serrato le ali al petto. Io che, sempre in quel famoso paio di occasioni, ho scelto di fare l’ape operaia, pur coltivando in cuore l’idea di essere una regina. Una prima della classe in pectore. Una da “Aragosta a colazione, altro che cornetto e cappuccio. Io che butto via cose e poi rimesto nel torbido raccattando seconde occasioni. 

“Io non voglio crescere. 
Andate a farvi fottere”

In cuffia avevo i Baustelle. Sarà mica un caso.Superato l’orlo della crisi di nervi da occasioni sprecate ho ricominciato l’allenamento, a vuoto, che il Gps non prendeva e Endomondo non mi ha segnato per quanti chilometri ho marciato. Mi sono goduta, il sole, l’aria, il tempo girato a vuoto.
Felice, nonostante tutto.

 “Non abbiate pietà.
Una mazza da baseball.
Quanto bene gli fa. Alleluja, Alleluja
“.

Pensandoci bene potrei finire a vendere “Tulipani neri”. 

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