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Questa mattina nella cassetta della posta ho trovato una lettera. Non era una bolletta, né una comunicazione della banca (ho attivato un conto on line ma continuano a riempirmi di inutile carta), né una una di quelle buste dove ti promettono regali milionari, né un sollecito dell’assicurazione. No, è una lettera vera, scritta a mano da un’amica dei tempi dell’università, che, mi duole dire avevo dimenticato e che si è trasferita a vivere in Nuova Zelanda. Racconta quello che fa, ci chiede se ci ricordiamo di lei (…) dove viviamo ora, generiche chiacchiere. Eppure commoventissime.

 E’ una lettera “comunitaria” indirizzata a un tot di amiche, non sapeva quale indirizzo fosse ancora valido, chi di noi si fosse trasferita o avesse cambiato casa, quindi ha scritto la stessa lettera e l’ha spedita a tutti i vecchi recapiti che aveva. Tipo bottiglia in mare, la prima che l’avrebbe letta avrebbe poi dovuto rispondere con la stessa modalità. Le ha affidate al vento, al caso, alla Posta Internazionale e in ultimo alle Poste Italiane, che in alcuni casi è un compendio delle prime due ipotesi. 

Le probabilità che non arrivasse erano elevatissime. E invece, carta, inchiostro e francobollo ora è qui, tra le mie emozionate mani. Che non leggevo una lettera “in carta” che saranno vent’anni. O giù di lì. Mi sto arrabattando pensieri per articolare una risposta che valga per tutte, e soprattutto sto facendo prove di grafia. Scrivo come una gallina, o come immagino una gallina possa scrivere e cioè male. Lego le parole l’una all’altra, le strascino, non metto i puntini sulle “i”, né i trattini sulle “t”. Un incubo. 

Finirò con l’usare lo stampatello, non sarà bello ma almeno avranno chiaro cosa volevo dire loro. E cioè che sto bene. Non ho un lavoro certo, non più, non ho una casa mia, non ho entrate sicure, sudo freddo a ogni avvicinarsi di fine mese, ho lasciato morire sogni e chiuso a chiave cassetti, ho sbattuto porte e mi sono lanciata a muso duro contro portoni che chiusi sono rimasti, ho cambiato vita almeno tre volte da quando ci siamo lasciate, sono entrata in sala operatoria più volte di quanto sarebbe lecito, ho pianto, sono ingrassata, ho tagliato i capelli, ho sofferto, molto, troppo, ho perso persone che credevo immortali e ho pianto di nuovo, mi sono sbucciata ginocchia e le ho lasciate sanguinare, mi sono rimboccata le maniche e ora sono felice. Come non mai. 

Ho deciso, risponderò con una mail. (L’ho scitta ascoltando a manetta Message in a Bottle, dei Police, mi piace essere scontata e felice)

da Cous – Cous del 20 agosto

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