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NEGLI ultimi anni, nei principali campionati dilettantistici calabresi, c’è l’usanza di offrire il pranzo alla squadra avversaria. La comitiva ospite viene accolta da quella di casa in un ristorante dove il conto viene poi saldato da chi gioca fra le mura amiche. Un favore, questo, che la società viaggiante ricambia al ritorno.

Decisamente un bel gesto, un ottimo esempio di accoglienza e di ospitalità.

Se, però, a questi gesti fanno seguito altri comportamenti, allora viene da pensare che è meglio evitare e mettere al bando quella che, in certi casi, è pura ipocrisia.

Che senso ha, infatti, offrire il pranzo se poi capita (è successo diverse volte) di essere offesi da tesserati della squadra ospitante, essere accolti al campo con occhiatacce e insulti, se non minacce e urla, oltre a trovare un clima ostile.

E che dire, poi, di ciò che succede nelle gare conclusive della stagione, quando a chi gioca in casa serve vincere la partita, al contrario di chi gioca in trasferta ed è già tranquillo? L’accoglienza e l’ospitalità, nonché le buone maniere diventano un optional.

Capita, ancora, che le prime dichiarazioni alla radio ed ai giornali siano quelle di ringraziare per l’ospitalità, salvo poi a microfoni spenti o a taccuini chiusi dire pesta e corna della società avversaria. Ipocrisie. Vere e pure ipocrisie.

Sia chiaro: questo non vale per tutti, perché ci sono anche degli ottimi esempi di accoglienza e ospitalità, ma in diverse circostanze certi gesti lasciano il tempo che trovano. E leggendo i comunicati ufficiali del giovedì, quando compaiono anche le motivazioni di certe squalifiche, allora ti rendi conto che la realtà è ben diversa da quella bella facciata che si vuol mettere in mostra.

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