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Tutti i giornali e le TV hanno riportato con grande enfasi l’accordo raggiunto tra l’Iran e le grandi potenze mondiali, Stati Uniti in testa, lo scorso 14 luglio per limitare lo sviluppo di tecnologie nucleari da parte di Teheran. Eppure nessuno sembra si sia ricordato che quell’accordo è coinciso con il 70-esimo anniversario dell’esplosione della prima bomba atomica realizzata dal gruppo di scienziati che lavoravano al Progetto Manhattan nel deserto del New Mexico. Quella bomba si chiamava The Gadget e fu fatta esplodere il 16 luglio del 1945 per verificare se tutti gli studi fatti a Los Alamos erano accurati e sufficienti per ottenere un ordigno nucleare. Quel giorno nacque il più potente e il più terribile fra gli ordigni inventati dall’uomo.

The Gadget non fece vittime, ma le due bombe atomiche che seguirono e che furono esplose a Hiroshima la mattina del 6 agosto 1945 e a Nagasaki tre giorni dopo (quest’ultima doveva essere sganciata su Kokura ma per la fortuna dei suoi abitanti quel giorno il cielo su quella città era nuvoloso) provocarono oltre 200.000 vittime civili, danni enormi ed effetti funesti per decine di anni.

A 70 anni da quelle tragiche esplosioni bisogna ricordare tutte quelle vittime innocenti e sperare che eventi come quelli non accadano mai più. Insieme a loro, noi vogliamo ricordare una persona che con lo sviluppo della bomba nucleare ha avuto molto a che fare, ma che a quel tempo fece una scelta che, se fosse stata seguita dai suoi colleghi, avrebbe evitato quei morti. Uno scienziato che dopo aver fatto parte del progetto Manhattan è stato il solo a lasciare il progetto perché aveva compreso che i motivi che avevano portato allo sviluppo della bomba nucleare erano venuti meno e che non bisognava procedere con la realizzazione e l’uso di bombe atomiche. Si tratta di Joseph Rotblat, un fisico nucleare di origine polacca che nel 1995 vinse il Premio Nobel per la Pace.

Rotblat negli anni ’30 lavorava alla diffusione di neutroni nell’uranio e quando, dopo la scoperta della fissione nucleare da parte di Frisch e Meitner, lesse una pubblicazione tedesca che parlava della possibilità di costruire in Germania una bomba atomica, si convinse che era necessario che gli Inglesi la costruissero prima dei nazisti come deterrente contro Hitler. Andò in Inghilterra e da lì negli USA a lavorare con Enrico Fermi, Richard Feynman, Robert Oppenheimer, John von Neumann e tanti altri.

Rotblat lavorò con loro fino al 1944, ma a differenza degli altri, quando seppe che i tedeschi avevano abbandonato il progetto della bomba atomica lasciò il progetto e la comunità di scienziati che lo stava realizzando. Per lui non fu una cosa facile perché il progetto Manhattan era sotto il controllo dei militari e niente doveva trapelare all’esterno. Rotblat subì molte pressioni e minacce per non lasciare, fu accusato di essere una spia e di voler tornare in Inghilterra per dare i segreti della bomba ai russi. Ma nonostante tutte queste pressioni alla fine riuscì ad andare via da Los Alamos a condizione che non avesse più contatti con i suoi colleghi che erano rimasti lì e che l’anno dopo costruirono la bomba atomica.

L’esperienza del Progetto Manhattan mostra come a volte la scienza possa diventare uno strumento molto potente per fini militari. Ancora oggi molti ricercatori svolgono attività legate, direttamente o indirettamente, agli armamenti. Joseph Rotblat, seppur da solo, ha dimostrato che la scienza può rappresentare uno strumento per fermare la barbarie e allo stesso tempo bisogna essere responsabili nelle scelte e sapersi fermare quando i risultati delle ricerche possono rappresentare una minaccia per l’umanità. Questa ragione è più che sufficiente per ricordare quest’uomo a 70 anni dalla tragedia di Hiroshima e Nagasaki.

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